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Berlusconi scende in campo per la sesta volta, Bersani ripropone la "gioiosa macchina da guerra" riveduta e corretta: ma in Italia è davvero così difficile il cambiamento?

Creato il 05 agosto 2012 da David Incamicia @FuoriOndaBlog

Ci mancava solo il "Polo della Speranza", che certamente rappresenta un netto passo in avanti rispetto alle tante varianti botaniche che hanno segnato la scena politica, specialmente a sinistra, nella prima parte della fallimentare seconda Repubblica, ma che forse non è proprio il massimo in termini di marketing elettorale. E' come ammettere davanti ai cittadini: speriamo che ("ci" o "vi"?) vada bene. La trovata, del resto, porta il copyright del ticket Bersani-Vendola, campioni proprio di quell'asse progressista che assai spesso, nell'ultimo ventennio, è riuscito a farsi sbaragliare nelle urne anche quando tutti i pronostici parevano favorevoli. Ed ha ufficialmente aperto i giochi di una campagna elettorale che sarà particolarmente lunga e faticosa, portando un Paese già fiaccato dalla crisi alla primavera del 2013 quando, assieme a un nuovo (ma ne siamo sicuri?) governo bisognerà designare anche il successore di Giorgio Napolitano, che ha da tempo fatto sapere di non essere disponibile a un secondo mandato al Colle più alto.
Ma in quali condizioni ci apprestiamo ad affrontare i mesi che ci separano dal voto? O meglio, come li affronteranno i meta-partiti italiani, che dovrebbero rappresentare i nostri bisogni e provare a risolvere le tante angosce che ci tormentano, nel pieno della tempesta economico-finanziaria, del montante sentimento di anti-politica che ha trovato in Beppe Grillo il proprio vessillifero e di un quadro politico-sociale generale oggettivamente confuso e desolante? Da quando Mario Monti è stato chiamato a fare il "lavoro sporco", la nostra "casta" autoreferenziale ed immobile avrebbe dovuto provare ad auto-riformarsi, definendo nuove regole del gioco democratico più rispondenti alle pressanti richieste di trasparenza e di partecipazione dei cittadini. E invece nulla. Anzi, il parlamento, fino a qualche mese prima ridotto a un bazar dove comprare poco onorevoli rappresentanti del popolo e dove curare solo gli interessi privati dell'inquisito di turno e, in particolare, quelli del padre-padrone della seconda Repubblica venuto da Arcore, con l'avvento dei tecnici ha perfino peggiorato i propri difetti.
Da novembre ad oggi sono state innumerevoli, infatti, le occasioni di pressione dei maggiori gruppi parlamentari sull'esecutivo, spesso accompagnate da minacce e improvvide sortite sulla stampa. E allora, ogni pur ottima intenzione del governo ha finito per annacquarsi all'atto pratico. Dalle liberalizzazioni alla revisione della spesa pubblica, i partiti hanno confermato di non saper guardare all'interesse nazionale quanto al proprio tornaconto, accarezzando sovente i peggiori istinti delle tantissime altre caste prosperate all'ombra della cattiva politica e del cattivo sindacato. Col risultato che, malgrado gli sforzi, i mercati e soprattutto le principali cancellerie occidentali continuano a diffidare dell'indole profondamente indisciplinata di noi italiani.
In effetti, la domanda che oggi ricorre maggiormente da Berlino a Washington è la seguente: cosa sarà dell'Italia dopo Monti? Alla quale, purtroppo, nessuno è ancora in grado di dare una risposta esaustiva e rassicurante. E le incognite si fanno via via più cupe con l'approssimarsi del voto, coi partiti che ridefiniscono le tattiche e le strategie elettorali solo in virtù di una vittoria annunciata da rendere ancor più facile, come a sinistra, o nel tentativo di ottenere la "migliore" sconfitta possibile, come invece nel caso della destra berlusconiana. Tanto che il grande assente nel dibattito politico italiano è appunto il tema delle riforme, sia a livello politico sia in ambito economico e sociale. Nessuna delle forze in campo che si candidano a raccogliere l'eredità di governo da Mario Monti (ma facciamo pure gli scongiuri...), ad eccezione dei centristi di Casini che fra tanti difetti hanno di certo il merito di aver sempre sostenuto l'attuale esecutivo senza se e senza ma, ha il coraggio di programmare un cambiamento vero del "sistema Italia", in sintonia con quanto di buono - e non è poco! - è stato fatto fin qui da Mario Monti e dai suoi ministri.

Così, rispuntano all'orizzonte vecchi spauracchi che in assenza di correttivi e ravvedimenti aprirebbero la strada alle scorribande degli speculatori facendo sprofondare il Paese nel baratro di un aggravamento quasi esiziale della crisi economica, con conseguente isolamento internazionale, e riportandolo indietro a quella guerra civile permanente simulata dai soggetti politici che con grande determinazione, spesso al limite della correttezza istituzionale, il Capo dello Stato Napolitano ha interrotto proprio nell'autunno dello scorso anno.
Nella parte destra del panorama politico il copione non cambia, non può cambiare. Lì sarà sempre l'azionista di riferimento, il proprietario, a dettare tempi, regole e prospettive. E a scendere in campo per la sesta volta consecutiva a garanzia dei suoi interessi, con buona pace dei presunti delfini e dei malpancisti sparsi. Silvio Berlusconi, l'uomo che ha concorso più di altri a portarci a questo punto grave, a cui si devono la sottovalutazione della crisi a colpi di propaganda e la crescita a dismisura della spesa pubblica nel decennio 2001-2011, per non parlare della mortificazione continua del senso morale e della legalità, della convivenza civile e della cultura, chiamerà di nuovo il popolo italiano ad esprimersi sulla sua persona.
Dirà come sempre che tutti gli altri - i comunisti, i gay, i magistrati e adesso anche i tedeschi - sono dei cattivoni invidiosi che vogliono impedirgli di governare (e di usare i sacri luoghi delle istituzioni come un bordello di quart'ordine). Prometterà posti di lavoro ai giovani, case ai senza-tetto e che la tasse saranno solo un brutto ricordo per famiglie e imprese che potranno di nuovo arricchirsi grazie al ritorno alla lira. E magari, utilizzando quei "pochi" spiccioli che gli avanzano, convincerà pure la Lega maroniana a non rompere l'eterna alleanza col solito miraggio che il Nord riuscirà finalmente ad affrancarsi dall'Italiaccia mangia-soldi e a levarsi di torno i terroni piagnoni che potranno così fottersi assieme ai baluba che vengono dal mare.
Niente paura, però, perché stavolta il Caimano non riuscirà a divorare i cuori e le menti degli italiani. No, non vincerà. Noi italiani saremo pure un popolo viziato e credulone ma alla fine, anche se ci mettiamo di solito un'eternità, sappiamo sempre smascherare i cialtroni. E Silvio Berlusconi, oltre ad essere il re dei cialtroni, dopo vent'anni di menzogne che gli sono valse la tenuta in ostaggio della nostra democrazia è ormai ridotto politicamente a un cadavere che non può che restarsene nella sua dorata teca funebre in attesa di una improbabile redenzione da parte degli storici. Accontentandosi, specie se, come sembra, si procederà ad una cattiva riforma della già pessima attuale legge elettorale, di poter ancora per un po' condizionare il futuro governo in parlamento a proprio vantaggio.

Sull'altro versante, il leader massimo del Pd Bersani dopo anni di non scelte ha deciso finalmente di essere di sinistra senza ambiguità di sorta. Non centro-sinistra ma sinistra-sinistra, forse giusto con qualche concessione alla puntigliosa area cattolica che spesso è perfino più a sinistra della sinistra-sinistra meritandosi l'appellativo di catto-comunista. Ecco, Bersani e il suo stato maggiore hanno optato per la definizione di un recinto "progressista", ricorrendo a una formula probabilmente efficacissima a racchiudere insieme, dentro quello che appare più come un ghetto ideologico, i sinistri-sinistri e i catto-comunisti, in questo caso con buona pace degli autentici riformisti e liberal che pure da quelle parti non mancano e dei giovani rottamatori recalcitranti. E per la gioia, invece, di chi è orgogliosamente posizionato più a sinistra di tutti, quel Nichi Vendola fino a qualche settimana fa quasi un reietto sacrificato sull'altare del sostegno al governo Monti e delle larghe intese percorse per provare a cambiare il Paese.
Ma adesso l'odore della vittoria comincia a farsi sempre più intenso, e allora meglio coprirsi con un innesto che piace alla sinistra sindacale e al movimentismo extraparlamentare, e che considera il liberismo, pur se temperato e in fondo sociale come quello della versione montiana, "il diavolo". Perché "oh, ragazzi... siam mica qui a far le pulci ai voti che vengon dalla Cgil o dai centri sociali". Sì, ma allora che fine faranno le riforme di Monti votate (giustamente) in parlamento? E come si sarà in grado di rispondere alle istanze di cambiamento che provengono dall'Europa? E che ricette si penseranno per il futuro delle nuove generazioni, che sono le uniche a non essere degnamente rappresentate a livello politico e sindacale e che magari, in buona parte, tifano ingenuamente per la svolta progressista di Bersani e per il rigore anti-sistema di Vendola quando invece avrebbero proprio bisogno di quelle riforme necessarie e dolorose invise alla sinistra? La foto di Vasto, inevitabilmente aggiornata nel disperato e probabilmente vano tentativo di sostituire il "berlusconiano" padrone di casa Di Pietro col post-berlusconiano e moderato Casini, non può essere la risposta efficace. Non può essere la vera alternativa al berlusconismo di destra e di sinistra ancora presente nella società seppure molto indebolito. Può solo decretare, purtroppo, il completo rinnegamento della responsabilità dimostrata con l'appoggio a Monti facendo paradossalmente gioco di sponda al Cavaliere costretto nella campagna elettorale che verrà a fare il volto truce verso il rigore e l'euro.
L'accordo con Vendola, unito alla mai venuta meno soggezione psicologica nei confronti della Cgil, è quasi una sorta di disimpegno per il Pd, che potrebbe alla fine portare lo stesso e per inerzia Bersani a Palazzo Chigi ma ricondurrebbe pure in questo caso l'Italia ai soliti problemi di ingovernabilità e di inaffidabilità agli occhi internazionali. Sì, perché in gioco c'è molto di più del governo del Paese, c'è il futuro stesso dell'Italia come società che va ripensato alla luce dei problemi di oggi destinati ad acuirsi negli anni a venire. Questo, insomma, non è più il tempo di anteporre i comodi interessi di bottega alle superiori esigenze della collettività, di preferire "l'uovo oggi alla gallina domani" giusto per rimanere a una delle metafore tanto care al segretario del Pd. Non è più il tempo di restare inoperosi e rassegnati dinanzi all'incedere inesorabile degli eventi, magari sorseggiando una buona birra gelata in attesa che tutto si compia da sé e convinti che nessun avversario politico possa sbucare all'improvviso dal nulla sbarrando la strada che porta al potere. E invece è esattamente ciò che potrebbe avvenire, specie se il Pd insisterà nella miopia di considerare prioritaria la chiusura dell'alleanza a sinistra. Come già accadde nel '94 quando la "gioiosa macchina da guerra" di occhettiana memoria favorì l'inizio dell'era berlusconiana.

In questo scenario, che mi terrebbe personalmente lontano dalle urne e come me credo altri milioni di italiani, manca un'offerta politica "terza e centrale" che faccia del vero cambiamento la propria bandiera. E un cambiamento è vero solo se è post-ideologico, solo se concide con riforme serie e strutturali, solo se sfida ogni corporazione piccola e grande per tentare di costruire una società più aperta e uno stato meno opprimente. Cambiare significa puntare senza riserve sui giovani, attraverso reali strumenti di concorrenza e di selezione che premino finalmente il merito. Significa non cedere ai ricatti dei sindacati e dello sconfinato apparato pubblico, mai disponibili a cedere fette di privilegio per ampliare la platea dei diritti. Significa, ancora, credere fermamente nella legalità quale presupposto indispensabile allo sviluppo complessivo ed equo della comunità nazionale, dove chi ha di più deve contribuire in maniera maggiore. E per quel che mi riguarda, significa pure avere il coraggio di non tradire i difficili mesi di Mario Monti al governo, proseguendo lungo la stessa scia rivoluzionaria.
La presenza diretta di Monti in campo non è prioritaria, conta la sua agenda di governo. Che può essere recuperata e portata avanti anche da altri soggetti se egli deciderà davvero di limitarsi al ruolo di senatore a vita o - perchè no? - subentrerà a Napolitano al Quirinale. Ma è indispensabile che questa opzione oggi non ancora in campo venga definita al più presto e con chiarezza. Magari attraverso un'opera di raccordo delle varie iniziative di segno riformatore che da qualche settimana stanno attirando l'attenzione. A partire dall'esistente, vale a dire da quelle forze politiche e parlamentari, laiche e cattoliche, che gravitano attorno all'Udc di Casini e dalla fondazione di Montezemolo Italia Futura che ha già annunciato che sarà presente alle elezioni del 2013. Non tralasciando, inoltre, la corrente riformista del Pd che recentemente ha proprio partorito un programma di intenti denominato "Agenda Monti" e quelle sensibilità più moderate e autenticamente liberali del Pdl che ormai non hanno più spazio in quel partito carismatico. Importante, infine, è osservare con attenzione quanto si sta muovendo nella società civile. Come il manifesto Fermare il declino promosso dal giornalista Oscar Giannino che già tante adesioni ha registrato.
Chi ha davvero a cuore le sorti di questo Paese non può consentire un ritorno al passato, coi suoi atavici vizi e le contrapposizioni di sempre. Tutto sta naturalmente e velocemente cambiando fuori dei palazzi del potere e tutto continuerà a cambiare nonostante le mille resistenze della politica e degli egoismi di parte che la politica stessa ha sempre colpevolmente solleticato. Occorre però uno scatto d'orgoglio da parte delle migliori energie presenti nella società, comprese le élite chiamate provvisoriamente a rimediare ai guasti della partitocrazia italiana che fra un anno non potranno essere relegate in un angolino ininfluente. Serve, in sostanza, una piattaforma trasversale e omnicomprensiva che aiuti a superare definitivamente certi steccati culturali ormai privi di senso, conducendoci oltre le antiche divisioni "tecnici-politici", "laici-credenti", "giovani-anziani", "nord-sud", "pubblico-privato" e "destra-sinistra". Un cantiere riformatore che metta l'Italia e gli italiani prima di tutto. E l'auspicio è che al rientro dalle vacanze austere di questa estate, oltre a un migliore andamento dei mercati e del famigerato spread, possiamo trovare un diverso clima politico capace di favorire la necessaria assunzione collettiva di responsabilità anche dopo il 2013.
 
 

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