Ieri sera mi sono sciroppato il DVD di Robin Hood di Ridley Scott. E devo ammettere che ne avrei fatto volentieri a meno.
Forse è un fatto generazionale: a mio fglio (16 anni) non è dispiaciuto. Ma io da un film sull’arciere di Sherwood (secondo Wikipedia è il 13° lungometraggio sull’argomento, compreso il cartone della Disney: Urca,urca tirullero!) mi sarei aspettato di più.
Primo impatto negativo: gli anacronismi. Non è che sia stato a contarli ma certuni saltano proprio in testa.
1) lo sbarco in Inghilterra delle truppe francesi stile D-Day con le barche (a remi, cara grazia) con i pontoni ribaltabili come nel 1945, peccato che siamo nel 1199 o nel 1200. Ridicolo. A parte che non risulta nessuno sbarco simile salvo quello di Guglielmo il conquistatore un secolo e mezzo prima…
2) gli archi longbow utilizzati in realtà per la prima volta nella guerra dei 100 anni (1337/1453) dagli inglesi e qui attribuiti indifferentemente a inglesi e francesi…
3) le balestre con caricamento a mulinello, tipica arma del ‘500…
4) menestrelli con ghironde e liuti cioè tipici strumenti musicali rinascimentali del ‘400. E perdipiù suonano gighe irlandesi del Settecento e in una scena d’amore fra Robin e Marian un’aria di Turlough O’Carolan (1670/1738), sempre irlandese…
Potrei continuare a lungo, ma tutto sommato non mi interessa tanto la verosimiglianza storica del film (che però risulta grossolanamente e gratuitamente sbagliato). E’ chiaro che la leggenda di Robin di Locksley o Loughslee (è un lago scozzese) o Loxley (quest’ultima è una località nello Yorkshire meridionale, giusto a nord di Notthingham e Sherwood), nei termini in cui se ne è impadronito il cinema, è ormai un’ucronia, una realtà alternativa con cui la verosimiglianza storica ha ben poco a che fare.
Anche il Robin Hood che tutti abbiamo in mente (anche se non lo avete mai visto), quello del 1938 diretto da Michael Curtiz (quattro anni prima del suo capolavoro Casablanca) con Erroll Flynn era un capolavoro di inesattezze storiche riferibili al pessimo romanzo postumo di Alexandre Dumas padre Robin Hood il proscritto da cui derivano il 90% delle balle storiche su il “buon” Riccardo Cuor di Leone (in realtà un pessimo re, che fui infatti soggetto a ribellioni baronali sia in Francia che in Inghilterra per tutti i suoi 10 anni di regno) e il “cattivo” Giovanni Senza Terra (John Lackland), in realtà uno dei più importanti Re della storia medioevale inglese per aver concesso ai suoi baroni quella Magna Charta che se non proprio un embrione di costituzione fu all’epoca il primo tentativo di federalismo (e non si capisce perché la Lega, sempre in cerca di padri nobili per la sua reinvenzione della storia, non lo recuperi un po’). Ma almeno l’invenzione degli allegri compari in calzamaglie e giustacuori verdi (idealizzazione cinquecentesca di costumi del trecento) a spasso per un’improbabilissima Sherwood girata in California (ma non meno improbabile di quella di Scott, girata in Nuova Zelanda) funzionava egregiamente: erano chiaramente finti, come fante, donna e re sulla carte da gioco, ma altrettanto funzionali.
E questa è la critica principale: che l’invenzione Fantasy di Robin e Marian, qui, assembla molti elementi incongrui e contrastanti, ma non sviluppa una personalità sua. Cate Blanchett nei panni di Marian (un po’ passatella a 40 anni suonati…) sembra non si sia ancora tolta il costume indossato fino a sette anni fa nella trilogia del Signore degli anelli, complice anche la comune ambientazione neozelandese. Max Von Sydow nei panni dell’anziano lord Loxley sembra appena sgusciato fuori da un film di Harry Potter come controfigura di Arbus Silente. Russell Crowe sembra non capire bene se fa Robin Hood o il Gladiatore (in ogni caso l’espressione è la stessa). Inquanto al cattivo Giovanni Senza Terra non si capisce proprio perché farlo interpretare ad Oscar Isaac, eccellente attore guatemalteco con ascendenti israeliani, più che leggermente ambrato, probabile come inglese del 200 quanto io lo sono come geisha giapponese. Forse per mettere alla berlina l’indecisione di Obama? Ridley Scott al suo 20° film si scopre un incallito repubblicano?
Insomma, qui il sofflé non monta. Apparentemente più che altro per indecisione, per la volontà di fare un kolossal più che un film, per la trama assolutamente scontata anche quando deraglia dalla tradizione hollywoodiana, per i molti accenni culturali come per esempio i bimbi di Sherwood, che si rifanno a leggende molto più antiche del folklore britannico, quelle di Jack-in-the-Green o Robin Goodfellow, probabilmente più folletto che bandito, alla base delle leggende su Robin Hood come raccontato da Robert Holdstock nel suo La foresta dei Mitago, uno dei più bei libri della new fantasy inglese degli ultimi 30 anni.
Il film di Ridley Scott, insomma, pecca di superficialità, incapacità di coinvolgmento, artificiosità. Più simile a uno dei tanti festival Fantasy che affliggono il mondo intero che a un vero spettacolo, con gli attori che più che recitare una parte sembrano condannati a fare del cosplay: una foto carina e si torna alla vita di sempre.