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Bianca come il latte e rossa come il sangue: l’incontro

Creato il 02 aprile 2013 da Oggialcinemanet @oggialcinema

Flavio Insinna: “Se avessi un figlio, vorrei fosse come Scicchitano”

Esce il 4 aprile in più di trecento sale italiane Bianca come il latte rossa come il sangue, teen-movie firmato Giacomo Campiotti nato dall’omonimo caso editoriale, un libro scritto da un professore (Alessandro D’Avenia) sulle vicende emotive ed esistenziali di alcuni suoi studenti. Nel film ritroviamo Leo, interpretato da Filippo Scicchitano, studente svogliato alle prese con il suo “vero amore” Beatrice (la graziosa Gaia Weiss). E la sua migliore amica Silvia, instancabile compagna di giochi e di studi, la brava Aurora Ruffino. Ritroviamo anche il sempre convincente Luca Argentero nei panni del professore. Incontriamo a Roma l’intero cast, insieme a regista e sceneggiatore (Fabio Bonifacci, lo stesso dei recenti Benvenuto Presidente e Amiche da morire).

La prima domanda è per Filippo: cosa hai provato quando hai letto il copione?
Filippo Scicchitano: Una forte compassione verso la situazione che doveva affrontare il mio personaggio, Leo. Non avevo letto il libro da cui è tratto il film, il primo passo è stato fare un’analisi totale sul contesto, sulla malattia non come discorso generale ma come l’affronta Leo prima nel libro e poi nella sceneggiatura. Ci tengo a dire una cosa: spero non ci si aspetti che un film sia uguale al libro. Io come inesperto, cioè non avendo mai fatto un film riconducibile a un libro, ho cercato di trovare nel mio piccolo punti forti e associazioni con il personaggio sulla carta, e mi sento di dirlo con totale scioltezza, per rassicurare e farlo comprendere a molti. Detto questo, è stata un’esperienza magnifica: mi sono tuffato nel ruolo dello studente.

E che cosa hai imparato?
F. S. : Provo a imparare sempre, ma cito una frase del libro: “Credere in qualcosa di più grande”. Qui dovevo farlo davvero per star dietro, nei panni di Leo, a un simile problema, a una ragazza malata e affrontare il dolore. Leo è un ragazzo caricato a 16 anni di grosse responsabilità. Ho cercato di mettere da parte Filippo come osservatore e indossare le vesti di Leo. Non per modestia, ma voglio dire che di talenti ce ne sono tantissimi in Italia, anche più bravi di me ma meno popolari. Non per sfortuna, ma anche per un problema di questo Paese: non si riescono a far sbocciare i talenti. Ecco cosa ho imparato da questo film: il tema centrale sono i sogni, io auguro ai miei coetanei di averne molti, nonostante questi tempi anomali e difficili.

Flavio Insinna, com’è stato vestire i panni del padre apprensivo e comprensivo?
F. I.: Ho letto sia il libro che il copione, è stato bello e doloroso tutte e due le volte. Ho pianto parecchio, perchè ognuno ha le sue ferite, le sue perdite, le mancanze: le persone vanno via e non è questione di età. Non potevo non accettare il ruolo, quindi, per motivi umani, affettivi e estetici. C’è un piccolo omaggio a mio padre: io, come Leo nel film, non studiavo, tornavo alle 4 e prendevo ceffoni. Quindi mi sono ribaltato allo specchio e ci ho messo dentro le preoccupazioni di mio padre. Per me è stato come far scorrere un fiume di sentimenti. Quello con Filippo, poi, è stato un incontro meraviglioso sia sul set che nella vita: ha una stoffa umana straordinaria, se avessi un figlio vorrei che fosse come lui.

Lei com’era a 16 anni?
F. I.:Vorrei tornare ad averceli: non mi sono goduto niente, avevo tutti 12 e 13 in greco e latino. Proverei a tornarci per godermela di più.I ragazzi di oggi sono più sollecitati di com’eravamo noi, hanno Internet e tutto, ma le stesse incertezze. Comunque sul set ho detto a tutti: se smettete di studiare, vi vengo a cercare. Chi ha un talento, ha il dovere di lucidarlo e regalarlo. Guardate gli attori di questo film ad esempio: dimostrano che non è vero che tutti i giovani sono “cani” a recitare.

Ma è vero che Argentero si è preparato “sul campo”, cioè dietro ai banchi di scuola?
Luca Argentero: Assolutamente. Sono stato nella classe di D’Avenia e ho trovato ragazzi svegli, intelligenti, profondi. Una bella esperienza.
Alessandro D’Avenia: Già, per la prima volta avevo tutti gli occhi addosso e mi sono potuto illudere che fosse per quello che stavo spiegando, non per la presenza di Argentero! Anche Fabio Bonifacci è venuto un paio di volte a trovarci. Ci tengo a dire che sono emozionato perchè i veri protagonisti di questa storia sono stati i primi a leggere il romanzo. Allora erano in quarta ginnasio, adesso vedranno il film proprio l’anno della loro maturità.

Una domanda alle interpreti, cosa vi ha lasciato questo film?
Aurora Ruffini: Io ho lottato tanto durante i provini per questo film: avevo letto il libro, me ne sono innamorata. Mi ha lasciato ricchezza e gioia, è basato sulla fede, sulla speranza, è un inno alla vita.
Gaia Weiss: Beatrice è un’adolescente che vive più cose di quanto non dovrebbe, e capisce che è nei momenti difficili che si ha voglia di poggiare una mano sulla spalla di qualcuno per trovare risposta alle domande. Del resto solo quando si smette di porsi domande si muore. Dopo aver accettato di interpretare il ruolo di Beatrice, è successo che mio zio mi ha raccontato che aveva avuto una figlia morta a 16 anni di leucemia e mi ha dato il suo diario, scritto prima di morire. Il che mi ha sconvolto ma anche aiutato a prepararmi.

Colpisce la collaborazione dei Modà, che firmeranno anche l’evento live a Roma (il 4 aprile, a Piazza Esedra, prima della proiezione serale faranno una performance ripresa e proiettata in 250 sale): com’è nata?
Giacomo Campiotti: Abbiamo chiamato a Checco e gli altri a vedere il film a Roma, e alla fine della proiezione lui era in lacrime. Addirittuta ci ha mostrato una lettera di una fan morta di leucemia, che prima di morire è stata con loro sul palco e hanno condiviso molto. E’ un tema che li tocca da vicino, si sono mostrati subito collaborativi e ci hanno mandato sei pezzi. In particolare, Se si potesse non morire sembrava scritta apposta per il film.

di Claudia Catalli


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