Bianco come la doppia linea dopo un giro d’anello. La campanella che dice la fine. Il sole negli occhi. L’urlo muto di Dege che a ventisei anni ha avuto la sua Paris Roubaix.
Nero come la polvere mischiata al sudore che disegna le rughe di fatica sulla pelle. Le forature nei momenti in cui devi essere davanti. La terra rivoltata accanto alla strada della foresta. Le schiene degli altri, le schiene di troppi.
Bianco, come il nulla dopo il traguardo, lo spazio di un secondo infinito che non serve a renderti conto di quello che è successo, piuttosto a lasciare di nuovo scorrere la vita, il sangue. Nero come tutto quello che c’era prima di quell’attimo di estasi privilegiata.
John Degenkolb ha lo stesso sguardo perso e lucido di Sanremo. La stessa smorfia che la fatica lascia anche dopo l’arrivo. E’ il terzo ciclista nella storia ad aver vinto Milano Sanremo e Paris Roubaix nello stesso anno. Due classiche monumento.
Da un buffetto a suo figlio, si toglie il casco, si prende la faccia tra le mani. Non è la stessa emozione di qualche settimana fa. Nessuna è uguale a sé stessa. Forse questa è diversa. Forse non sa nemmeno lui perché. Le vittorie sono come figli, si amano tutti indistintamente anche se ognuno ha il suo carattere. La Roubaix è cattiva e indisciplinata eppure assomiglia a uno di quei cavalli selvaggi che tutti vorrebbero cavalcare per dire di aver fatto un patto con la libertà. Bianca è questa luce che avvolge il velodromo di pomeriggio. Bianchi i sorrisi dei ragazzi Giant che arrivano uno per uno con la faccia di polvere. Nero è l’amaro invisibile delle delusioni che si accavallano dietro a Dege felice. Greg di nuovo sul podio ma niente gradino più alto, con la sua espressione buona e severa allo stesso tempo, gli occhi delusi, forse increduli per quei metri perduti. Greg che è sempre rimasto tra i migliori, sul pavè che faceva tremare i suoi gomiti aperti, le braccia sul manubrio.
Sir Wiggo che ha tentato lo scatto come arco di freccia, facendoci credere che forse le pietre gli avrebbero lasciato scrivere un racconto solo suo, di cavaliere serio, di scopritore di chimere impossibili. Baronetto elegante anche nelle sfide più dure, nel tentativo di stupire tutti fino alla fine, forse anche sé stesso. Daniel che non ha perso posizioni neanche per un secondo, spalla a spalla con il suo compagno, davanti per tutta la strada che taglia in due la foresta di Arenberg, a prendersi quelle pietre a denti stretti come aveva accarezzato nei sogni di bambino. Rocker tradito da due biciclette e una caduta.
Matteo che torna al suo amore ruvido dopo le cadute e sa che al velodromo lo aspetta un bimbo di pochi mesi che con i suoi occhi attenti ha visto il nord per la prima volta e comincia ad amarlo senza parlare. Matteo che vuole la vittoria per dirlo a quel suo bimbo che ancora non parla ma sa già molto. Delle pietre, del sacrificio. Peter che non riesce a ritrovare quel ragazzino d’oro che vinceva tutto e doveva inventarsi ogni volta un’esultanza diversa. Prodigio che cerca di andare più forte della sfortuna e delle pressioni.
Nero il destino di tutti meno uno in questa corsa che è figlia insolente e adorata.
Bianco il peso della pietra tra le mani di Dege sul podio, roccia strappata dalle strade del nord e che potrà portare a casa come quei bambini che raccolgono i sassi dalle sponde dei laghi per tenerli di ricordo. Gli abbracci dei compagni, una mano che gli scompiglia i capelli impastati di sudore e di terra mentre ai microfoni dice che è felice ma i suoi occhi dicono che non ci crede ancora.
Bianca la saponetta che schiuma sulla pelle nelle docce di Roubaix. Nero il gorgo dei sogni che se ne va sotto i piedi rimasti chiusi per troppe ore negli scarpini. Bianche le nuvole sotto la pancia di un aereo che porta verso casa. Nera la notte sopra la foresta che torna senza voce, sogno cattivo e bellissimo che si ricomincia a sognare da subito, dopo quella linea bianca. Un istante, il tempo di scuotersi e di ricominciare a pensare a quanto tempo manca alla prossima volta. “Continuo ad amarla” ha detto Niki Terpstra dopo l’arrivo. Still love that race. Bianco l’amore eterno inciso sulle pietre nere di ventisette settori che sembrano niente e sono tutto. Cuori che senti solo se avvicini bene l’orecchio, se ascolti nel profondo. Anche a distanza.