Archiviate le elezioni parlamentari di domenica scorsa, conclusesi con un plebiscito a suo favore (anche perchè boicottate dai partiti d’opposizione e per questo definite “una farsa” in Occidente), il presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko ha celebrato ieri il suo trionfo presentando alla stampa nazionale ed estera le previsioni di sviluppo socio-economico della Bielorussia per il 2013, e le linee guida della politica monetaria del Paese per il prossimo anno. Secondo i dati riferiti da Lukashenko, il Pil bielorusso nel 2013 crescerà dell’8,5%, l’export di beni e servizi aumenterà del 15,2% portando in positivo la bilancia commerciale, come pure è previsto un incremento del 6% negli investimenti in capiali fissi. In salita pure gli investimenti esteri, che dovrebbero raggiungere il valore di 4,5 milioni di dollari, e il reddito disponibile della popolazione (+6,5%). Previsioni in positivo anche per il settore dell’edilizia residenziale: nel corso del 2013 saranno stati edificati 6,5 milioni di metri cubi di nuove case contro i 4,2 previsti per il 2012.
Oggi il ministro dell’Economia Andrei Kharkovets ha persino avanzato l’ipotesi di collocare sui mercati finanziari europei e asiatici bond del valore di 500-600 milioni di dollari: l’economia bielorussa è dunque uscita dall’abisso economico in cui era finita nel maggio 2011? Il proclama di Lukashenko in realtà non convince. L’economista Leonid Zlotnikov ritiene che a quei dati non credano nemmeno coloro che hanno redatto il rapporto letto dal presidente: “Si tratta di previsioni che possono realizzarsi solo in presenza di particolari condizioni economiche, come il bilancio in pareggio e assenza di inflazione… ma parlare di ciò non è realistico nel caso della Bielorussia”.
Intervistato dal sito Udf.by, vicino all’opposizione liberale, Zlotnikov ritiene che il 2013 non sarà l’anno della stabilizzazione economica. Anzi: all’orizzonte si profila un vero e proprio default. Altro che obbligazioni: la Bielorussia non avrebbe nemmeno i soldi per pagare il debito estero, e sembra che non ci siano ulteriori fonti di introito.
Per Zlotnikov, la competitività della Bielorussia si è ridotta, mentre la concorrenza è aumentata, specie da quando il principale partner commerciale di Minsk, la Russia, è entrato a far parte dell’Organizzazione Mondiale del Commercio: la riduzione dei dazi provocherà l’arrivo sul mercato russo di beni di qualità migliore e a prezzo più conveniente. Un futuro che è già presente: dal 20 settembre è entrata in funzione una zona di libero scambio tra i paesi membri della Csi, che di fatto ha già portato i prodotti agricoli ucraini a togliere quote di mercato a quelli bielorussi.
L’unica soluzione per invertire la rotta e allontanarsi dal baratro passa per l’attuazione di riforme in grado di traghettare la Bielorussia da un’economia pianificata in un’economia di mercato: è quanto Zlotnikov aveva già suggerito ad inizio anno, invitando Lukashenko a seguire l’esempio russo e non quello della Corea del Nord, “dove per costruire il socialismo, la gente finisce per patire la fame”.