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(Bien) hecho en Cuba

Da Gynepraio @valeria_fiore

Questo weekend ho visitato la mostra Hecho en Cuba, che ha inaugurato il 4 febbraio e resterà aperta fino al 29 agosto presso il Museo Nazionale del Cinema di Torino (che, per i non cittadini, si trova all'interno della Mole Antonelliana). La mostra propone oltre 200 pezzi tra bozze, layout e opere finite che raccontano la grafica cubana dagli anni 60 ad oggi attraverso i manifesti cinematografici.

Per chi come me, ha avuto l'enorme fortuna di visitare Cuba, non sarà difficile ricordare quanti manifesti si possano trovare per le strade, solitamente corredati di citazioni dei grandi rivoluzionari. Spesso hanno grafiche e messaggi naif, sembrano dei mantra (o dei garbati reminder): se l'ha scritto Ernesto Che Guevara, che bisogna esser duri senza perdere la tenerezza, allora sarà giusto così. Ah, se lo dice Josè Martì, che si deve fare quello che è necessario in ciascun momento storico, mica può essere sbagliato, no? Da uno che ha scritto il testo di Guantanamera, se permettete, ci aspettiamo la verità.

Ma con il cinema è andata diversamente. Succede che il 24 marzo 1959 (il mio compleanno: solo un caso? Noi non lo crediamo affatto) Fidel Castro, fresco fresco di vittoria su Batista, fonda l'Istituto Cubano de Arte e Industria Cinematográficos che per amor di brevità chiameremo ICAIC, un ente che si occupa di portare -previo filtro e opportuna revisione, claro que sì - il cinema d'autore a Cuba. Intendiamoci: prima del 1959, Fulgencio Batista e le sue signore mulatte benvestite avevano già visto qualche film. Ma solo loro, ecco. Non doveva nemmeno trattarsi dei migliori titoli del mondo: tipo, questo "Domingo Romano" credo che anche Sofia Loren si sia dimenticata di averlo girato.

Tornando a Fidel, possiamo dire che su tutto ha risparmiato, meno che sulla cultura. E per portare il cinema ovunque e istruire la popolazione sui capolavori della cinematografia mondiale intera tranne che americana, lui e la compagnia di cinefili di ICAIC si inventano due espedienti bellissimi: le locandine e il cinemovil.

HECHO EN CUBA - LE LOCANDINe

Per preservare l'identità nazionale? O per creare nuovi posti di lavoro per i grafici? Non si sa: comunque i film acquistati e trasmessi dal governo cubano avrebbero avuto le loro locandine. Niente foto di attori che già guadagnano troppo per carità, niente product placement che qui si fa la rivoluzione mica la réclame, materiali di recupero che siamo comunisti e manca il petrolio un giorno sì e l'altro pure, giusto una manciata di copie che non c'è bisogno di fare i megalomani come i capitalisti americani.

Il meccanismo ricorda quello adottato attualmente da qualsiasi committente: chiamo 5 o 6 grafici, li chiudo in una stanza, gli faccio vedere il film a mo' di brief, li metto in gara e gli chiedo una bozza del manifesto. Solo che qui non c'è nessuna suite di Illustrator, nemmeno una porcheria come Corel Draw, nemmeno Paint, nemmeno craccato. Anzi, veramente non c'è nemmeno della carta decente. Niente di niente. Allora i grafici disegnano l'illustrazione su carta di recupero e scrivono del testo provvisorio. Ma siccome siamo a Cuba, il Lorem Ipsum - notoriamente una usanza dei popoli occidentali- è bandito: il testo finto si fa con i ritagli provenienti da Dio-sa-dove accuratamente incollati sulla grafica. E poi, vuoi mettere, è molto meglio! Così hai già dei bei font calligrafici da usare e riprodurre a tuo gusto (sempre a mano, claro que sì). Ecco qui un esempio di bozza-collage.

Di tutte le proposte ricevute, ne viene democraticamente scelta una (a tutti gli altri, a titolo di rimborso spese lo Stato passerà un vasetto di marmellata di guyaba e 2 kg di zucchero) e a quel punto al grafico vincente conviene trovarsi subito un esperto in serigrafia, ovvero l'unica tecnica di stampa esistente all'epoca. Che, per chi non lo sapesse, obbliga a usare poche tinte, piatte (cioè quasi senza sfumature) e poco testo. Quindi, la bozza si trasforma in un layout, cioè una specie di legenda in bianco&nero con cui l'artista istruisce lo stampatore nella preparazione del telaio serigrafico e il colorista nel mixare le tinte: perché nel 1959 il Pantone Color Institute non l'avevano ancora fondato e comunque le mazzette colori degli Yankee noi non le vogliamo, hasta la victoria siempre.

Il risultato è quella che, in termini strettamente artistici, definirei una figata mondiale. Praticamente un filone artistico a sè stante, che non ha nulla da invidiare alla grafica contemporanea e che attribuisce il giusto ruolo a creatività e tecnica. Il manifesto, per stessa ammissione dei grafici che lo realizzano (e firmano!) non è un'opera d'arte che può essere capita oppure no: il manifesto deve essere chiaro. Segni, simboli e colori devono evocare, senza ombra di dubbio, il contenuto della pellicola e il genere. Quindi, nel perseguire chiarezza e semplicità, è uscita lei: l' avanguardia pura. Locandine essenziali ed elegantissime, tipo queste, che ricordano i minimal poster appesi nelle camerette dei cinefili contemporanei.

Oppure dei personaggi come questo pesce, che è un mash-up tra Nemo, Flounder de La Sirenetta e gli Snorkies

(Bien) hecho en Cuba

O addirittura anticipano dei trend: il font di Moby Dick (poster del 1968) sarebbe poi diventato il carattere tipicamente "lisergico" di Woodstock (concerto del 1969!). Incredibile, se si pensa che a Cuba la cultura hippie non era molto ben vista e i pantaloni a zampa di elefante sono arrivati tipo nel 1987.

(Bien) hecho en Cuba

Particolarmente bello è il "trattamento" riservato ad alcuni capolavori italiani, dove, pur senza ricorrere alla fotografia, i grafici cercano di rendere onore agli attori protagonisti.

Fidel e i compagni di ICAIC potevano limitarsi a selezionare il meglio del cinema mondiale, cubanizzarlo e trasmetterlo nelle 200 sale cinematografiche de l'Avana. E dei campagnoli chi se ne frega. Ma no, no, no, no! Quello lo faceva Batista! Tenere le popolazioni rurali nell'ignoranza, non si fa. Magari mangiano poca carne, magari raccolgono zucchero tutto il giorno, ma anche loro hanno diritto a vedere i film. E allora nasce il:

cinemovil: por primera vez

I cinemovil erano camion attrezzati con sale di proiezione che potevano essere allestite su due piedi in tutti i villaggi sperduti, dove nessuno aveva mai visto un film. Nel 1968 il regista Octavio Cortazar realizza " Por primera vez" un documentario che racconta l'incontro della popolazione con il primo film della loro vita (che sarà, guarda un po', un'opera di denuncia della condizione operaia: "Tempi Moderni" di Charlie Chaplin). Sono molto belle le sequenze che riprendono gli spettatori ridere, darsi di gomito e indicare lo schermo.

(Bien) hecho en Cuba

Ma la parte più rivelatrice è quella in cui delle madri di famiglia raccontano la loro idea di cinema. Non hanno mai visto un film, non sanno nulla, ma centrano perfettamente l'obiettivo.

(Bien) hecho en Cuba

Cos'è il cinema, se non una cosa bella, importante, dove c'è tanta gente e che sembra un po' una festa. Per chi volesse vederlo, il documentario dura una decina di minuti ed è qui.

Per visitare la mostra, le info sono qui. Le immagini sono malamente fotografate dal catalogo della mostra a cura di Silvana Editoriale.


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