Origine dell’universo, energia oscura, gravità quantistica, relatività generale… tutto in quattro paginette dal titolo a effetto – “Cosmology from quantum potential” – pubblicate per di più su una rivista di quelle serie, Physics Letters B. Quattro paginette che provano a smontare una delle convinzioni più diffuse e accettate, dagli scienziati quanto dalle persone comuni: che tutto sia iniziato con il Big Bang. Invece no, scrivono Ahmed Farag Ali del Center for Theoretical Physics di Giza, in Egitto, e Saurya Das, della University of Lethbridge, in Canada: il loro modello non solo sembra poter fare benissimo a meno di quella singolarità iniziale innanzi alla quale la fisica come la conosciamo è costretta a issare bandiera bianca, ma addirittura prevede che l’universo abbia un’età infinita.
Affermazioni straordinarie richiedono prove straordinarie, ammoniva Carl Sagan, ed era dunque facile prevedere che in rete si sarebbero immediatamente sollevate critiche e obiezioni parecchio tranchant – a partire da quelle che possiamo leggere su the reference frame, dove a onor del vero Luboš Motl se la prende soprattutto (ma non solo) per il modo in cui i media hanno ripreso l’articolo. Ma sono davvero così straordinarie, le conclusioni di Ali e Das? Media INAF lo ha chiesto a Carlo Burigana, cosmologo all’INAF IASF di Bologna.
Come si discosta il modello di Ali e Das da quello standard della cosmologia?
«Il modello degli autori, basato su un approccio che combina concetti quantistici e di relatività generale, propone un’interpretazione dell’accelerazione recente dell’universo – descritta usualmente in termini di costante cosmologica, di energia oscura, o di modifiche alle teorie sulla gravità – e “rimuove” la singolarità iniziale sintetizzata nel termine big bang. Ora, in realtà, ciò che è osservativamente “standard” è l’espansione dell’universo (accelerata nelle epoche recenti, decelerata nel passato e verosimilmente accelerata nel trapassato remoto, come negli scenari inflazionari) e la fase primordiale calda (da cui il termine hot big bang), e non mi pare che questo lavoro sia in opposizione a ciò».
Ma il loro l’articolo sembra proporre uno scenario senza istante iniziale. Non è incompatibile, questo, con l’idea di big bang alla quale siamo abituati?
«Il termine big bang, ovvero “la grande esplosione” a ridosso della singolarità da considerarsi come una sorta di “inizio” dell’universo (o, per alcuni, la “creazione” dello stesso), è sempre stato, a rigore, una semplificazione, una sorta di gergo per indicare una fase primordiale estremamente calda e densa con condizioni fisiche adeguate a spiegare alcuni fatti osservativi in un quadro in cui l’universo primordiale si è poi evoluto espandendosi e raffreddandosi».
«L’eventuale singolarità rappresenta una questione affascinante appunto perché richiede una fisica ancora non nota che possa fornire un quadro soddisfacente in condizioni fisiche così estreme. Ma, con un’analogia di immediata comprensione, basta usare al posto del tempo il logaritmo del tempo (come forse non così inappropriato quando ciò che conta è l’ordine di grandezza di una quantità), affinché l’istante zero vada automaticamente a meno infinito, ovvero la questione “dell’inizio” scompare, mentre rimane invece la questione, secondo me più interessante, delle proprietà fisiche di un sistema in condizioni “estreme”. Il lavoro mi pare si inquadri in quest’ottica. Se poi la soluzione proposta sopravvivrà o meno ad analisi più approfondite e, in particolare, se passerà i test sulla spiegazione della genesi dei semi iniziali e dell’evoluzione delle strutture cosmiche, “fotografati” nel fondo cosmico e nella distribuzione delle galassie, lo si vedrà, come del resto accennano gli autori».
In attesa di vedere se l’impianto teorico del loro lavoro regge, i due autori continuano a sfornare paper ad alzo zero. Ahmed Farag Ali ne ha caricato in rete uno, ancora non pubblicato, che mette in discussione l’esistenza d’un’altra singolarità, quella dei buchi neri. E Saurya Das non è certo da meno: l’ultimo lavoro che ha condiviso, firmato insieme a Rajat K. Bhaduri, prevede che alla fine, di tutto ciò che chiamiamo universo, non rimarrà altro che un condensato di Bose-Einstein. Fra tutte le cose possibili… quasi quasi era meglio il Big Crunch!
Fonte: Media INAF | Scritto da Marco Malaspina