Bingo catalano

Creato il 06 ottobre 2011 da Lollo

Alle elementari senza alcun motivo apparente si cantava la canzoncina “Mi chiamo Lola e son spagnola, per imparare l’italiano vado a scuola. Le mie sorelle sono tutte belle..”. Qualcuno dei miei molteplici traumi infantili mi ha fatto dimenticare il resto. Per fortuna.Io potrei cantare “Mi chiamo Lorenzo detto Lollo, sono italiano e per imparare lo spagnolo mi sono iscritto al corso di catalano”. Lingua che ha dell’incredibile.Noi Erasmus infatti abbiamo una capacità patriottica oltre misura, così parlando tra di noi e chiedendoci il perché uno debba oltrepassare Alpi e Pirenei per imparare un dialetto troviamo affinità con il nostro linguaggio quotidiano.“Per imparare il catalano basta andare a Napoli” dice ADG (Antonia detta Giovanna). [Persona da non ascoltare in quanto la sua email è “folletta dei boschi verdi” o qualcosa di simile].“Molte parole sono simili al milanese” diciamo io e altre due lombarde veraci.“I numeri si dicono quasi come in francese” sostiene Lucie, raffinatissima parigina.“Ha lo stesso accento del dialetto che parlo in Romania” conclude Alexandra.Tutto il mondo è paese, ma non esageriamo.
Il corso di catalano mi piace perché sono l’unico ragazzo e non mi sento ignorante in quanto una povera sventurata ragazza cinese è più imbranata di me. Ho anche notato che utilizziamo la stessa tecnica, quando non capiamo qualcosa (ovvero il 90% di questi rumori intestinali chiamati lingua) sorridiamo e sbattiamo le ciglia. Il sorriso c’è, il movimento compulsivo delle ciglia non lo so perché ha degli occhiali che sono una sorta di binocolo satellitare.La professoressa è molto simpatica, perlomeno prova a fare qualche battuta nella speranza che venga captata almeno da uno studente su quattro. Probabilità minime, si intende.Insegna una lingua che non ha una sonorità particolarmente elegante, è un po’ ruspante, quasi gitana. Non ti immagini una delicata signora con il filo di perle che ti parla catalano e ti fa incantare ad ogni sillaba come succede invece con lo spagnolo, il celeberrimo castigliano.Il primo livello del corso si chiama “di sopravvivenza” e qui già dovevo capire molte cose.Consiste nell’apprendimento delle regole basilari, banalità del tipo “Come ti chiami?” “Di dove sei?” e “Come facevi a conoscere Tarragona se abiti in una città dimenticata del Messico?”.Io l’ho dovuta cercare su internet, figuriamoci lei, Cecilia la mia compagna messicana, soprannominata da me medesimo Betty Suarez per una perfetta sincronia con il personaggio televisivo.In catalano per conoscere il nome di una persona devi chiederli “Chi sei?”.Ovvero: Chi minchia sei tu che ti palesi ai miei occhi in questo momento? Non è molto carino ma evviva le differenze linguistiche. Accanto a me c’è una forte rappresentanza dell’America Latina, c’è perfino Ana Laura, la cinquantenne brasiliana che parla solo portoghese e passa le lezioni con uno zainetto colorato sulle spalle. Madelina la modella rumena è una delle poche europee insieme a me e ad un’altra di cui non riesco a comprendere la provenienza.“Ha proprio la faccia da polacca” penso. Come minimo è araba.
La mia preferita però rimane lei, Barbie. “Hola yo so Barbie y soy de California” disse il primo giorno mangiandosi intere sillabe alla maniera americana. E’ stato amore a prima vista.Mora ma bionda, abbronzatissima e truccata, mascara come fosse l’ultimo giorno in cui poterlo mettere e perennemente in infradito.Eravamo seduti vicini e ogni tanto le lanciavo un’occhiata. Occhiata da stalker per lei che probabilmente si è impaurita ma che per me era una dichiarazione d’amore. Volevo farle sapere che è sempre stato il mio sogno quello di inciampare in “Hola yo soy Barbie y soy de California” nel mezzo del cammino di questa drammatica vita. Non siamo ancora migliori amici ma ben presto faremo dei pigiama party insieme.La seconda lezione è dedicata all’apprendimento dei numeri. Io che già ho un bruttissimo rapporto con la telefonia e la matematica ho dovuto appellarmi a tutta la mia pazienza per non sopperire a quelle due ore interminabili.Qual è il metodo migliore per esercitarsi con la pronuncia dei numeri in catalano se non improvvisare una partita a Bingo?Monica la professoressa ruspante consegna una tabella da riempire con dei numeri dall’1 al 90. “Non vale barare eh” annuncia, conscia che un italiano avrebbe fatto finta di scrivere i numeri per poi inserirli una volta estratti.In palio per il Bingo due Chupa Chupa, uno dei quali panna e fragola, ovvero tutto quello di cui ho bisogno nella vita da quando mi sono spuntati i denti da latte. Guardo le concorrenti sfidandole all’ultimo numero.
Comincia l’estrazione proprio come fosse la tombola a casa della nonna Bertuccia il giorno di Natale. Amalia la peruviana interpretava la zia sorda che chiede “54?” quando in realtà è uscito il due. Io volevo insegnare alla plebaglia i tradizionali detti italiani che accompagnano il gioco, come “77 le gambe le donne” e “90 la paura” ma ho avuto pietà per la mia reputazione o più semplicemente non ho la minima idea di come si possano tradurre certi concetti in spagnolo. Benché meno in catalano.Dopo venti minuti io perdo la speranza di mangiare il chupa chupa e non riesco a scorgere la fine di questa follia. Mi guardo in giro.“Hola yo soy Barbie y soy de California” è agguerrita perché le mancano solo due numeri.La ragazza cinese invece sta ancora cercando di capire in quale parte del mondo si trova. E soprattutto il perché. “Vint-i-tres”[che sarebbe ventitre] dice la professoressa Monica.“Hola yo soy Barbie y soy de California” fa una croce su una casella.Le manca solo un numero, l’88, e poi potrà ingozzarsi di chupa-chupa mentre io cercherò di abbindolarla e farmene regalare uno.Continua l’estrazione e la tensione si taglia con un grissino. (?)Nessuno si muove, le ascelle sudano e le mie papille gustative cercano di ricordarsi il binomio panna-limone.“Nou” [che sarebbe nove].“BINGO” urla una voce dall’ultimo dimenticato banco. “Hola yo soy Barbie y soy de California” viene sconfitta da una qualunquissima Natalia-colombiana.Se ne và con le lunghe ciglia nere tra le gambe.E’ come se non l’avessero incoronata reginetta del ballo della scuola.Sto per andare a congratularmi con la vincitrice ma decido che starò dalla parte della sempre abbronzata californiana. “Sia mai che ci scappa una vacanza a Los Angeles” penso fantasticando con la mente.

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