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Un film come Black eagle (aquila nera) è una delusione su tutti i punti di vista: quello meramente cinematografico, quello testosteronico e quello vandammiano. Sono alla fine tre punti che possono coincidere, e che quando lo fanno generano capolavori dell'action come Hard target di John Woo o Knock out di Tsui Hark, ma in questo caso non un solo elemento sovrasta la mediocrità dei restanti due.
Di certo la cosa che lascia più basiti è la desolazione della messa in scena ad opera di tale Eric Karson, uno che a fine anni 70 aveva anche girato un Chuck Norris (coi baffi e pre barba) degno di nota, The octagon, ma che qui sembra un incapace della Settima arte. Non c'è una sola idea di buon cinema, non un'inquadratura studiata a DOC, tutto sciatto, tutto con la piattezza delle peggiori produzioni Cannon senza averne però la stessa anarchica follia.
Siamo nel 1988 e la scelta di puntare sulla stella morente dei ninja movie, Sho Kosugi, e relegare il Fred Astaire del karate, Jean Claude Van Damme, a semplice comprimario, è incredibile a mente posteriore, ma assolutamente comprensibile con il senno di quegli anni. D'altronde Van Damme non era ancora Van Damme: il quasi contemporaneo Senza esclusione di colpi lo avrebbe sì fatto esplodere nel firmamento delle star, ma per ora il nostro Gianni Claudio restava uno dei tanti stranieri con velleità da star. Sho Kosugi invece era un nome importante nel genere action d'accatto, suoi successi come il filone prolifico dei ninja, ma, dopo troppi film mediocri e budget ristretti, era diventato uno dei tanti caratteristi del cinema d'azione, anonimo, invisibile e confondibile con tanti orientali maestri di arti marziali agli occhi del pubblico più di bocca buona.
Per assurdo l'unica cosa pregevole e di buona fattura di Black eagle sono le musiche ad opera di Terry Plumeri, molto azzeccate e di una certa enfasi. Il versante testosteronico è poca cosa e non riesce a far quagliare la sottotrama intimistica familiare con il nostro Sho Kosugi padre-spia con quella che si vorrebbe spionistica, un po' alla James Bond. Ecco proprio questa dimensione più meditata, fatta di intrighi politici e guerre di agenti segreti, non trova nè un budget adeguato nè qualcosa di più di stupidi e deliranti dialoghi non sense. Le coreografie sono poi davvero brutte, con l'aggravante dell'evidente finzione dei vari scazzottamenti. Van Damme alla fine, sulla scena per poche sequenze, fa la parte del leone, uccide nemici strappandosi la maglietta, fa le solite spaccate esagerate, peccato che muoia nel modo più cretino possibile. Interessante è anche la psicologia del suo personaggio: non il solito cattivo a tutto tondo, ma un uomo con una storia d'amore alle spalle, servo cieco e fedele di un'ideologia sbagliata, per gli autori, come quella comunista.
Probabilmente si sono semplificate idee sviluppate meglio sulla sceneggiatura che si intravedeva essere un action con degli eroi dalle tinte scure a fronteggiare antagonisti più umani della media dei soliti film di propaganda a stelle e strisce. Sul piatto invece abbiamo questo: un film razzista, mal fatto, che butta al vento idee anche buone dietro il solito conflitto tra buoni americani e russi malvagi da Paperinik.
Da evitare a tutti i costi.
Keoma
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