Magazine Cinema
Durata: 133'
La trama (con parole mie): quando un impianto nucleare nel cuore della Cina subisce un attacco terroristico giunto dalla rete, le autorità militari di Pechino seguono tracce che portano il loro uomo di punta Chen Dawai a collaborare con l'FBI in modo da permettere la scarcerazione anticipata di Nick Hathaway, hacker condannato a quindici anni di reclusione ed unico che Dawai ritiene in grado di seguire la traccia lasciata dall'attentatore, legata a doppio filo ad una creazione informatica che lo stesso Dawai e Hathaway avevano elaborato ai tempi del college.
Inizia dunque un'indagine che porta i due vecchi amici, la sorella di Dawai e l'agente Barrett a fare tappa nelle principali capitali del Sud Est asiatico così da raccogliere le informazioni che potrebbero condurli alla risoluzione del caso: ma l'operazione si rivelerà più complicata e rischiosa del previsto, e ben presto, più che una questione legale, diverrà una battaglia che mescola vendetta e volontà di sopravvivere.
Esistono alcuni film, o registi, ai quali basta un momento per definire il concetto di assoluta potenza.
Michael Mann è uno di questi, e dovevo aspettarmi, nonostante l'accoglienza fin troppo tiepida - per usare un eufemismo - ricevuta da Blackhat oltreoceano, che non sarebbe stato diverso, questa volta.
L'escalation della cattura di Dente di fata in Manhunter, De Niro che abbandona la sua donna in Heat, i due coyotes in Collateral: esempi di una strabordante carica registica quasi senza pari negli States attuali, e non solo.
Avvisaglie di quello che sarebbe accaduto anche affrontando il suo nuovo lavoro.
Per essere onesti e procedere con lo stesso piglio, però, occorre mettere subito le carte in tavola: Blackhat non fa della storia il suo punto di forza.
Certo, si tratta di un solido thriller d'azione di quelli che furoreggiavano negli anni ottanta filtrato attraverso le nuove guerre degli anni zero, ma lo script non regala davvero nulla di innovativo allo spettatore, dalla preparazione dei pezzi sulla scacchiera, all'esplosione - in tutti i sensi - dell'azione vera e propria all'epilogo: eppure si resta come ipnotizzati, quasi atterriti.
Blackhat è come un ottovolante dalla fotografia perfetta - sfido chiunque a non immaginare di trovarsi per le strade di una di quelle metropoli brulicanti di vite e traffici avvolti da colori quasi magici -, una lezione di Cinema che gli aspiranti registi dovrebbero continuare a studiare e ristudiare negli anni a venire, un notturno omaggio alla settima arte figlia di quegli stessi luoghi - ho avuto l'impressione in più di un momento di essere nel pieno di un lavoro di Johnnie To -, una sorta di urbana poesia, un cocktail così forte da risultare indigesto per chi è abituato a considerare Cinema roba infinitamente meno travolgente di questa.
Ma soprattutto, è quella sequenza: ce ne sarebbero altre, dagli inseguimenti tra i containers alle strade di Hong Kong, ma quel passaggio in particolare è uno dei miracoli che mi fa ringraziare esistano uno schermo e storie raccontate attraverso immagini: in quella macchina che esplode, in ogni pallottola di quel turbinio di raffiche e colpi esplosi nel buio della notte, eppure nel pieno dell'abbraccio della luce artificiale, c'è tutta la maestosità della settima arte, dai duelli del Western alla malinconia di chi ha visto cose che noi umani possiamo solo immaginare.
Basterebbero quei cinque minuti, per considerare Blackhat, alla faccia della critica a stelle e strisce, uno dei film più belli visti finora nel duemilaquindici, ma Michael Mann è uno che non scherza.E dunque rincara la dose sfoderando lo stile di Miami Vice mettendolo al servizio di una vicenda che pare non risparmiare nulla a nessuno, e che nonostante la risoluzione conclusiva - che mi ha ricordato, una volta ancora, Collateral - lascia lo spettatore con l'impressione che non ci sia stato davvero un vincitore, neppure i pochi destinati a sopravvivere.
Michael Mann e questo Blackhat sono stati, per intensità, come una dimostrazione di forza della Natura: Hemsworth e la sua compagna nel mezzo del nulla delle miniere avvolte dalla nebbia, o le riprese dall'alto della baia di Hong Kong, senza contare ogni singolo colpo sparato da una parte all'altra dello schermo appaiono come un'onda anomala che si osserva con gli occhi sgranati prima di essere travolti, uno tsunami di tecnica che non trova definizione migliore se non Cinema allo stato puro.
Questo è Blackhat.
Questo è Michael Mann.
MrFord
"Neon heart, day-glow eyes
the city lit by fireflies
they're advertising in the skies
and people like us."
U2 - "City of blinding lights" -
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