Chon comincia a vedere una psicoterapeuta, dopo aver iniziato a sognare una donna incontrata solo una volta in un ristorante. Nei suoi sogni, un uomo misterioso la uccide e ne taglia orribilmente a pezzi il corpo. Questi incubi omicidi lo perseguitano anche da sveglio, portandolo gradualmente alla follia, visto che le terribili visioni vanno man mano prendendo il sopravvento.
Egli cerca in tutti i modi di dimostrare agli altri che quello che vede non è soltanto un’illusione, ma nessuno sembra fidarsi di lui. Finalmente scopre di avere ragione quando alcuni indizi nei suoi incubi lo spingono verso l’obitorio, cella numero 19. Ma aver ragione può talvolta rivelarsi terrificante. La storia è vagamente ispirata alla inquietante vicenda di Wisut Boonkasemsanti: un ginecologo thailandese che nel 2001 uccise la moglie e ne sparse i resti per tutta Bangkok.
Body venne presentato, suscitando anche qualche interesse, al Far East di Udine nel 2008. La regia è di Paween Purijitpanya e vede come co-sceneggiatore Chukiat Sakveerakul, grazie al quale si è cominciato a parlare di una ascesa dell’horror thailandese, un microcosmo che in questi ultimi tempi desta un certo interesse per il futuro, con il bel 13 Beloved (2006).
Body è una pellicola di livello medio-basso, formalmente anche abbastanza scarsa, con effetti speciali low budget. Il linguaggio utilizzato dal regista è davvero fin troppo vicino a quello di un video clip. Anche la fotografia lascia abbastanza a desiderare, con un brutto digitale, il quale ricorda molto quelle atmosfere oniriche e dai colori pastello dei videogiochi, come ad esempio “Silent Hill”, tanto per citare un titolo, certo non recente, ma che ha fatto in parte la storia del mondo videoludico. Tuttavia, è giusto notare come questo sia il primo horror asiatico ad utilizzare massicciamente gli effetti CGI, non solo nelle scene più prettamente horror, ma anche, in maniera meno invasiva, in alcuni esterni.
Paween Purijitpanya è un autore giovane, qui alla sua opera prima. Ragion per cui, è lecito accettare che vi siano varie sbavature nel suo film. La storia ricorda per molti versi quella di Vital (2004) di Shin’ya Tsukamoto, che non sarebbe da annoverare tra le opere migliori del cineasta giapponese. Comunque, in Body ritroviamo quello spunto – almeno questo sì suggestivo – di una visione quasi leonardesca delle parti anatomiche umane, insieme a una idea non solo metafisica, bensì a tratti persino esoterica del corpo di un defunto come tramite spirituale con l’aldilà. Queste tematiche, ben analizzate da Tsukamoto, sono invece solamente abbozzate dal suo collega thailandese.
Paween Purijitpanya ha già alle spalle una vita abbastanza movimentata. L’amore per il cinema però lo ha sempre accompagnato. Da ragazzo, racconta, amava cibarsi di pane, burro e fumetti, e seguiva con passione le serie di The Twilight Zone, Tales from the Crypt, nonché qualsiasi cosa venisse dal mito Steven Spielberg e che potesse ispirargli visioni mostruose da includere nel suo futuro mondo di celluloide.
In finale, questo prodotto inciampa nel medesimo ostacolo che ormai da anni limita molto l’incisività di buona parte del cinema horror: manca il terrore…non fa veramente paura! Al massimo, vi troviamo il ribrezzo di alcune scene splatter, che poi è il solito espediente un po’ furbo a cui ricorrono molti registi quando sono consapevoli di non essere in grado di sconvolgere il pubblico in altra maniera.
Il mezzo passo falso agli esordi di Paween Purijitpanya è utile per tornare a dibattere su di una questione di un certo rilievo per la cinematografia di genere. Ovvero, è ancora possibile dire qualcosa di nuovo sfruttando i consueti paraphernalia dell’horror asiatico: spettri femminili vendicativi dai lunghi capelli neri, deliri ipnotici, personaggi violenti e schizofrenici? Il timore, che a nostro parere sta diventando purtroppo un certezza, è che se si continua così, si incorre nel rischio del “visto uno, visti tutti”. L’errore che commettono molti registi che si confrontano con questo genere narrativo è quello di pensare che esso venga caratterizzato esclusivamente da un determinato stile e/o linguaggio visivo. Non è così, poiché nell’horror i contenuti sono molto importanti. Dunque, i giovani autori, invece di educarsi attraverso fumetti e videogiochi, dovrebbero forse riprendere a leggere un po’ di sana letteratura gotica e del terrore. A tal proposito, Lovecraft, Poe, Le Fanu, Meyrink potrebbero tornargli molto utili.
Riccardo Rosati