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Boh.

Creato il 13 febbraio 2013 da Unarosaverde

Qui non c’e’ trippa per gatti. Anzi, di trippa ce ne e’, dato il sovrappeso, e di gatti pure, poiche’ sette di loro vivono nella casa accanto, quella delle zie, e non conoscono confini di aiuole. Hanno ucciso quattro azalee e un rododendro in un inverno di pisciatine, pur avendo cassette e sabbiette pulite ogni giorno. Convengo con loro, meglio in plein air. Hanno anche amici che li vengono a trovare, i gatti delle zie: uno di loro miagola come un matto dall’imbrunire fino a tarda sera. Forse e’ in amore, forse sta aprendo richiesta formale di adozione. Non c’e’ in senso metaforico, intendevo, perche’ non so proprio cosa scrivere, in questo periodo.

Covo pensieri bui di piani di evasione che terminano dopo pochi secondi perche’ sono troppo stanca per seguirne i fili logici. Ho ricominciato la fisioterapia, tutti i giorni, anche per piu’ di due ore, a volte, e mentre piego, stiro, stringo i denti, osservo l’effetto strano che fa vedere i culturisti e gli atleti di calcio e pallavolo allenarsi nelle macchine accanto a chi zoppica o indossa un tutore al braccio. Le fisioterapiste della ASL erano signore di mezza eta’ rassicuranti e implacabili, che lavoravano in locali angusti con strumenti obsoleti, tirando e piegando per costringere arti malmessi a tornare normali. I fisioterapisti di questo centro privato si muovono sicuri e atletici – sono tutti sportivi semiprofessionisti – tra apparecchi di ultima generazione in stanze che sanno ancora di nuovo e nessuno di loro permette che io superi la soglia del dolore. Agli obiettivi ci si arriva per gradi: e’ questione di tempo, di soldi e di ottimismo profuso. Sudare dopo mesi di inattività’ mi stanca ma mi permette, a sera, di addormentarmi di colpo e dormire sonni profondi fino al mattino. Non posso stare in piedi senza sentire dolore ma ancora mi illudo che un giorno il dolore passera’ e i fili logici dei pensieri si perdono in sbadigli.

Sono di nuovo a Madrid, oggi, per un altro viaggio di lavoro. Vedo visi amici e controllo che il lavoro fatto nei mesi scorsi prosegua nel migliore dei modi. Qui il cielo pare già’ indossare i colori della primavera: c’erano venti gradi nel pomeriggio e la sera si e’ ammantata di rosa. Volo, atterro, riparto, dormo in letti alieni e stranieri, faccio e disfo la borsa e non penso. Agisco di riflesso, di abitudine, mentre vorrei essere altrove, fare altre cose, avere davanti un’altra sfida con contorni diversi e ignoti. Non ho voglia di stare in compagnia, se non in quella di pochissime persone e nei tempi che decido io; sto troncando vecchie conoscenze via email perché’ sono stanca di dialoghi superficiali in cui si parla ma non si comunica, perché’ manca interesse ma non lo si dice. E allora prendo io l’iniziativa e faccio quella che spala via l’inutilità’ a colpi di badile e neppure sente rimorsi.

Ho bisogno di cambiare aria e, nello stesso tempo, ho bisogno di quiete. Non spiego nemmeno a me stessa cosa c’e’ che mi ronza in testa perche’ non questo nulla non ha ancora preso forma, figuriamoci se riesco a scriverlo. Faccio ordine fuori, nelle stanze, negli armadi, compenso il caos e il sobbollire di rabbia, noia, stanchezza, voglia di reagire. Sogno tempi nuovi in cui non devo piu’ ricevere ordini e nemmeno darne, luoghi in cui non sia il profitto, o il costo, la leva decisionale, ma mi accorgo che con quello che so e che so fare questi soli sono i contesti in cui ho significato professionale. Ho voglia di reinventarmi ma non so come.

Questo succede ad essere uno pseudo-ingegnere con una forte inclinazione umanistica: ogni tanto sbarello ( non e’ italiano, e’ dialetto locale) e la logica lascia il posto all’istinto e all’emozione. Poi mi passa.

Passera’ anche stavolta.


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