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Botti di fine anno.

Creato il 30 dicembre 2010 da David Incamicia @FuoriOndaBlog
Botti di fine anno.
di David Incamicia
Ebbene sì, scrivo anche l'ultimo post del 2010 concentrandomi sulle persone più in sofferenza e stavolta le tasche vuote ci azzeccano poco. No, niente crisi economica, aumenti di tariffe o del costo della vita, perdita del potere d'acquisto, eccetera eccetera... Stavolta la sofferenza è morale, di quel tipo che fa più male. E che colpisce, specialmente sotto l'Albero e davanti al Presepe, esseri umani veramente soli.
Soli in corsia, per esempio. Costretti a brindare al nuovo anno da un letto di ospedale. Perchè sono sempre di più gli anziani che, non sapendo dove andare e non potendo contare sulla propria famiglia, si ritrovano nel periodo delle feste di Natale abbandonati in corsia. Se mediamente, in Italia, gli anziani ricoverati rappresentano il 50% del totale dei degenti, nelle festività natalizie e ad agosto questa percentuale aumenta di circa il 10%. Soprattutto negli ospedali delle grandi città. A scattare l'istantanea è la Fadoi (Federazione delle associazioni dei dirigenti ospedalieri internisti), che sottolinea come "oltre agli acciacchi con cui devono fare i conti gli anziani, molti di loro sono alle prese con un nuovo male: la solitudine".
In molti casi il ricovero si trasforma nell'abbandono del paziente in ospedale, che finisce per diventare l'alloggio temporaneo. I pazienti "critici cronici" sono circa il 25% dei ricoverati, ma sta crescendo il numero degli anziani che chiedono aiuto all'ospedale perchè non sanno dove andare. Il malato cronico o anziano è solo, non può più contare sull'auto-assistenza e non ha una rete sociale alla quale rivolgersi, dalla famiglia alle strutture sul territorio.
Analisi sposata in pieno dall'Ipasvi (Federazione dei Collegi degli infermieri): "Nel periodo natalizio è indubbio che assistiamo a un aumento del numero degli anziani ricoverati. I motivi del fenomeno sono diversi ma questo aumento è soprattutto legato al fatto che, in particolare durante le feste, i pazienti anziani sono costretti a fare i conti con la carenza della rete di assistenza territoriale e quella dei servizi domiciliari, in primis la mancanza di infermieri".
Questa tendenza sembra chiamare in causa direttamente le famiglie che, in alcuni periodi dell'anno, è come se staccassero un po' la spina. E, spesso, anche la presenza di una badante non risolve il problema. La maggior parte di loro, infatti, non è in grado di assistere un paziente, sono figure che si limitano a rifare i letti degli ammalati senza affrontare e risolvere i loro problemi di salute.
Ma il fattore che più influisce sul fenomeno del "parcheggio" dell'anziano in ospedale è però la carenza o addirittura la mancanza di una efficiente rete di assistenza sul territorio. Soprattutto nei periodi di festa, i servizi sanitari locali sono meno attivi. Anche i medici di famiglia sono difficilmente rintracciabili. Ciò comporta che per motivi banali gli anziani vengano portati in pronto soccorso dove, se i medici capiscono che il paziente a casa è poco o male assistito, decidono per il ricovero.
La somma di tutti questi fattori porta quindi a un risultato: il ricovero sempre più frequente dell'anziano. In Italia si effettuano circa 8 milioni di ricoveri l'anno, 10 milioni se si considerano pure i day hospital. Di questi 8 milioni, il 50% avviene nei reparti di medicina interna. Si tratta per lo più di pazienti anziani, il 25% dei quali malati cronici in condizioni critiche. Pazienti che necessitano di cure intensive, di terapie complesse e che, una volta dimessi dall'ospedale, avrebbero bisogno di un'assistenza post-ospedaliera efficiente, in strutture di riabilitazione o attraverso servizi di cura domiciliare che sappiano rispondere alle loro esigenze.
Se viene a mancare questa rete di servizi, il rischio è quello di dover fare i conti con un altro fenomeno dilagante: lo "sliding doors", ossia l'andirivieni negli ospedali. Il 45% dei pazienti ultra 75enni che vengono dimessi dagli ospedali, infatti, dopo circa un mese è costretto a ricoverarsi nuovamente per complicanze. Un fenomeno che pesa non poco sulle casse del Servizio sanitario nazionale. Basti pensare che il costo medio giornaliero di un ricovero varia dai 300 ai 500 euro.
Per la Fadoi è quindi necessaria una riflessione sul percorso ospedale-territorio. "Serve un'immediata creazione di strutture intermedie, come gli ospedali distrettuali, che dovrebbero dare assistenza a molti malati ma, ovviamente, non a quelli acuti e gravi. Tanto più che presto aumenteranno anche gli stranieri malati, anziani e non. E non dimenticando che tra vent'anni i pazienti dalle "tempie grigie" saranno quadruplicati".
Un'altra categoria di individui che certamente non se la passano bene durante le feste è quella dei detenuti. Da sempre costretti a condizioni di "vita" a dir poco proibitive, negli ultimi anni stanno sempre più assurgendo alla ribalta delle cronache a causa dei suicidi dietro le sbarre. Una vera e propria strage, che non si è fermata neanche in questi giorni.   Come martedì scorso, quando a Sanremo è avvenuto lo "sconcertante" decesso di Ferdinando Paniccia, detenuto dichiarato invalido al 100%. Fatto che ha indotto l'Ucpi (Unione delle camere penali italiane) ad annunciare esposti e denunce, poichè "tra decessi e suicidi siamo ormai a cifre impressionanti, a conferma che il carcere non è più solo luogo di limitazione della libertà personale, ma istituzione dove si rischia la vita e spesso la si perde". Non più, insomma, luogo di rieducazione come vorrebbe la Costituzione ma vera e propria "discarica sociale".
Dall'inizio del 2010 siamo ormai a quota 66 suicidi su un totale di 171 decessi verificatisi in carcere. "Il rapporto di chi si uccide tra persone ristrette in carcere e quelle libere - sottolineano i penalisti italiani in un documento - è di 19 a 1, una percentuale talmente sproporzionata da non essere spiegabile unicamente con la difficile situazione psicologica derivante dalla limitazione della libertà personale". Solo ieri l'ultimo caso: un detenuto di 24 anni di origine rom si è suicidato nel carcere romano di Rebibbia impiccandosi nella sua cella. Rambo Djurdjevic era ristretto al braccio G12 e avrebbe finito di scontare la pena a maggio 2011.
Alcune ricerche indipendenti hanno dimostrato una correlazione fra sovraffollamento e suicidi: in nove istituti dove si registrano almeno due suicidi all'anno, il tasso medio di sovraffollamento è del 176% contro un dato nazionale del 154%, e la frequenza dei suicidi è di un caso ogni 415 detenuti, mentre la media nazionale è di uno su 1090. Questo dimostra che dove l'affollamento è del 22% oltre la media nazionale, la frequenza dei suicidi è più che doppia. E non solo, l'Unione dei penalisti sottolinea che nel 2010 il 60% dei suicidi è avvenuto fra i detenuti interessati da regimi speciali come l'isolamento.
"Isolamento" è la parola chiave. Un termine asciutto e semplice, capace di far comprendere il dramma umano di migliaia, forse milioni di persone che soffrono spesso in silenzio e nel più assoluto anonimato. Proprio come quei tanti anziani, ammalati e detenuti che l'ultimo periodo dell'anno sono costretti, se ancora ne hanno voglia, a farsi gli auguri da soli. Sì, è isolamento... morale prima che fisico.
Botti di fine anno.  "C'è un silenzio nel cielo prima di un temporale, delle foreste prima che si levi il vento, del mare calmo della sera, di quelli che si amano, della nostra anima, poi c'è un silenzio che chiede soltanto di essere ascoltato..."   (Romano Battaglia)     Fonte: Adnkronos e TM News

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