Monti ha placato gli animi degli antiBerlusconiani. I mercati sembrano concedere una relativa tregua ad un paese poco orientato alla serenità sociale. Il dato è tratto. Forse…
Il problema di fondo, però, rimane ed è difficile sperare che il nuovo anno sia in grado di superarlo. Gli industriali sanno che la crisi segnerà il passaggio dalla stagnazione alla recessione. Già si stimano i posti di lavoro che andranno persi. Si contano le vittime di un disastro annunciato e non evitato.
E’ normale che questo 2011 si chiuda all’insegna del vociferare lamentoso del popolo. E’ meno normale, tuttavia, fomentare la folla. Il ruolo dei media in questo dovrebbe essere fondamentale. L’era di “Tutti insieme appassionatamente” è finita, purtroppo. Oggi si gioca alla rivolta sociale. Questo non è un bene. Le energie devono essere spese per costruire.
Non è un caso che, mentre un nuovo canale digitale terrestre spiegava come fermare la finanza attraverso attentati internazionali ai centri simbolo di multinazionali, una signora di mezza età, una nonna tradizionale, riflettendo sul futuro dei nipoti, affermava: “io quelle pallottole non le avrei messe in busta, ma le avrei sparate… magari sulle gambe per non uccidere nessuno… ma almeno avrebbero capito, questi dannati!”. Ops, qualcosa che non va c’è.
Questa è la sintesi verbale di uno sfogo rabbioso di una cittadina devota a fede e nazione. Nei bar il ciarlare sovversivo è ancora più esplicito. La rabbia sociale, non si sta affievolendo. Anzi sta diventando un cancro sociale che lede quel senso comune di solidarietà che tutti invocano, pur non sapendolo esternare e ancor meno promuovere.
I giornali stessi sono molti attenti nel riportare testualmente frasi del tipo: “Dai pacchi passeremo finalmente alle pallottole, dopo Equitalia il Pd”. E’ una lettera, recapitata alla sede centrale del Gruppo Adnkronos, siglata dalla ‘cellula Eat e Billy’ della Fai, Federazione Anarchica Informale.
E’ vero che l’evidenza non si può negare. Questo governo non ha basi democratiche e non rappresenterà lo strumento di costruzione di nuova speranza sociale. Questo compito attiene ai politici e non ai tecnici. Però è quanto di meglio si è riuscito ad assemblare.
Il problema di fondo rimane in ogni caso. E non credo che ulteriore violenza sociale, come se non bastasse il disagio di intere famiglie, possa essere la soluzione. Forse sarebbe più rassicurante parlare nelle piazza, trovare nuove sinergie per inventare nuovi lavori. Sperimentare nuove forme di economia locale. Fare rete, anche di mutua assistenza. Perchè mentre il lavoro si ferma, la fame, i bisogni quotidiani e la cura dei figli continuano a richiedere risorse economiche.
La lotta politica non può ripassare per il terrore, utile solamente all’instaurazione di un nuovo modello fallato di democrazia. Il collettore sociale della partecipazione non dovrebbe essere interrotto con metodi che innescano “ulteriore insicurezza sociale”.
Speriamo che il 2012 sia un anno eversivo, ma non sovversivo e che il cambiamento arrivi con il sostegno positivo di tutti, piuttosto che non con le solite e sperimentate logiche del passato.