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Boyhood. Il frutto di una collaborazione con il tempo

Creato il 22 ottobre 2014 da Oggialcinemanet @oggialcinema

commento di Maurizio Ermisino

Summary:

“Il tempo è un fiume che mi trascina, ma sono io quel fiume”. Scriveva così Jorge Luis Borges. Non a caso Richard Linklater, regista di Boyhood, usa queste parole in testa alle note di produzione. L’autore texano, nella sua opera, ha sempre giocato con il tempo. Senza cercare di ingannarlo e di piegarlo per farlo entrare nella finzione della macchina cinema, ma, al contrario, cercando di cambiare il suo cinema, dilatandolo e allargandolo per adattarlo al naturale scorrere del tempo. E per farci entrare dentro la vita vera. In tutti i film si gioca con il tempo. Scegliendo di estrarre da esso i momenti salienti di una vita per sintetizzarne il senso (il cinema è la vita con le parti noiose tagliate, diceva Hitchcock), o cercando con trucchi, fisici o digitali, di ricreare i cambiamenti causati dal tempo su corpi, volti e luoghi. Ma Linklater ha creato qualcosa che cambia completamente la dialettica tra cinema e tempo, tra realtà è finzione. È un esperimento unico.

La lavorazione di Boyhood è durata 12 lunghi anni. Linklater ha seguito la crescita del protagonista, Mason, dall’età di 6 anni (tanti ne aveva quando sono iniziate le riprese, nel 2002) fino a 18 anni. Il piccolo Ellar Coltrane, che interpreta Mason, è cresciuto con la macchina da presa come compagna di giochi: lo conosciamo che è un bambino, e lo lasciamo mentre sta per andare all’università, mentre ha cambiato aspetto, voce, interessi. In 12 anni, Linklater ha girato in tutto 39 giorni, riunendo attori e troupe ogni anno per 3 o 4 giorni, fissando ogni anno un’immagine del ragazzo in crescita, e raccontando alcuni momenti della sua vita. Evitando grandi eventi, o svolte drammatiche, come si crede debba raccontare sempre il cinema, con buona pace di Hitchcock. Cercando invece di mostrare la normalità dell’evoluzione di un ragazzo. Mente sullo sfondo scorre anche la recente storia americana, l’11 settembre, la guerra in Iraq, l’elezione di Obama, e ascoltiamo le musiche di quegli anni, dagli Weezer ai Coldplay fino agli Arcade Fire e ai Daft Punk degli anni più recenti, insieme al protagonista crescono anche gli attori intorno a lui, Ethan Hawke e Patricia Arquette, che interpretano i suoi genitori, e Lorelei Linklater, figlia del regista, che nel film è la sorella. E, se vedere sui volti di Hawke e Arquette il passare del tempo è un naturale effetto speciale funzionale al racconto, vederlo su Ellar Coltrane è sconvolgente, come vedere il proprio figlio crescere in tre ore, un bambino diventare uomo. “La più grande emozione? Quella di vedere Ellar crescere prima sul set e poi nel film, guardarlo sopravvivere alla sua adolescenza, diventare un adulto” ha raccontato Ethan Hawke.

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Boyhood è un esperimento nato da anni di ragionamenti sul cinema, sulla narrazione, sul tempo e sulla vita” ha spiegato Richard Linklater. “Mi ponevo dei problemi, delle domande, sulle limitazioni e possibilità del film, ma non trovavo la soluzione. Non voglio sembrare arrogante, ma quando è arrivata l’idea mi sono sentito come uno scienziato che ha fatto una grande scoperta”. Da qui è nata questa impresa folle, e apparentemente impossibile a livello produttivo, una certosina opera di produzione e di attesa, con una sceneggiatura scritta in progress, e con la pazienza di saper aspettare 12 anni prima di consegnare al pubblico un’opera d’arte. “È stato come fare un grande atto di fede verso il futuro” ha riflettuto Linklater. “La maggior parte degli sforzi artistici per forza di cose devono essere mantenuti sotto controllo, mente in questo caso alcuni elementi erano fuori dal controllo di chiunque. Inevitabilmente ci sarebbero stati cambiamenti fisici ed emotivi, e questo è stato considerato. In un certo senso, il film è il frutto di una collaborazione con il tempo. E il tempo stesso può a sua volta diventare un ottimo collaboratore, sebbene non sempre prevedibile”. Tra i cambiamenti di cui parla il regista ci sono soprattutto quelli nella vita del giovane Ellan. Nel corso del tempo, la sua vita e quella del suo personaggio hanno iniziato a convergere. È anche per questo che in Boyhood troviamo tanta vita. Vita vera.

Linklater lavora ancora sul rapporto tra cinema e tempo, come aveva fatto con la sua trilogia formata da Prima dell’alba, Prima del tramonto e Before Midnight, che segue gli stessi personaggi e gli stessi attori a dieci anni di distanza, fissando il passare del tempo sui volti dei suoi protagonisti, che invecchiano allo stesso modo dei suoi attori. Aveva fatto qualcosa di simile Francois Truffaut con il suo Antoine Doinel, il protagonista de I 400 colpi, seguito, sempre con il volto di Jeanne Pierre Leaud, in diverse età in altri film. Ma Boyhood è ancora più rivoluzionario, perché segue il passare del tempo in un solo film. Nel caso di Ellan/Mason il tempo diventa crescita, scoperta del mondo, un passo verso il futuro. Che sarà aperto, ignoto, come vediamo dall’inquadratura finale del film. Perché, a differenza del cinema, così è la vita.

Di Maurizio Ermisino per Oggialcinema.net

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