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Boys don't cry - 3

Da Carlo Deffenu
BOYS DON'T CRY - 3 BOYS DON'T CRY (terza parte)La fila delle macchine inizia a rallentare in prossimità della chiesa. Qualcuno decide di parcheggiare ai bordi della strada. Non so cosa fare. Il caldo mi appiccica la camicia al collo e alla schiena, la cravatta mi soffoca. Procedo a bassa velocità, svolto a destra nel piccolo spiazzo di un bar, riesco a trovare un buco tra un palo della luce e il cancello di una villetta. Posiziono il muso verso il muro per salvaguardare lo specchietto, scendo per controllare lo spazio rimasto nello stretto passaggio, e una volta tranquillizzato chiudo lo sportello con la chiave elettronica. Mi incamminò verso la chiesa, sull’altro lato della strada, strattonando la giacca nera.La bara è stata già scaricata dal carro funebre e portata di peso davanti all’altare. La folla si accalca sul portone. Un muro invalicabile di teste e schiene mi impedisce di entrare. Mi fermo a ridosso della scalinata, e con le spalle al muro guardo la gente che arriva lentamente in prossimità della chiesa, sudata e accaldata dentro abiti e vestiti troppo pesanti. Maledico la mia decisione di smettere di fumare. Ho voglia di una sigaretta. Un ragazzo, a pochi passi dal punto dove mi trovo, fuma nervoso. Prendo coraggio e chiedo la mia prima sigaretta dopo due mesi di totale astinenza. Il ragazzo sfila il pacchetto da una tasca della giacca e con un colpo secco del polso fa sbucare fuori una Diana rossa. Mi sorride e io sorrido. L’accendino appare tra le sue dita senza bisogno di chiederlo: mi avvicino alla fiamma e tiro la prima boccata. La messa prosegue. Sento i canti sfasati del coro, il suono dell’organo e i pianti disperati dei parenti. Penso alla madre anziana e al padre malato. Alla tesi di laurea da buttare nel cesso. Al mutuo ottenuto dalla banca per restaurare una casa ereditata da una zia materna. Alla voce stonata di Alfonso quando canta al karaoke “Miss me blind” di Boy George. All’ultima volta che ci siamo visti. Al nostro viaggio a Barcellona. Alla sua camicia a righe. Penso a tutte le piccole cose che ci appartengono, e mi dico che è davvero uno scherzo pessimo morire in una splendida giornata di sole come questa, senza avere il tempo di salutare nessuno.Vedo Antonio uscire dalla chiesa e soffiarsi il naso tra le lacrime. Mi avvicino senza farmi notare. Barcolla con la testa bassa verso la strada, si accascia a ridosso di un muretto di cemento e riprende a piangere. Lo raggiungo, mi fermo davanti a lui e gli accarezzo i capelli, stranamente non sono stati modellati con pennellate generose di gel. Solleva la testa e mi sorride.«Ma che fai? Fumi?» chiede, tirando su con il naso.«Un’eccezione alla regola» rispondo.«Non riuscivo a stare fermo davanti alla bara…sono dovuto uscire…» «C’è anche Aldo?»«Sì, durante la messa mi sono sentito mancare le gambe. Un calo di pressione….il caldo…l’odore dei fiori…l’incenso…non lo so. Ho chiesto delle caramelle a Irene per mangiare qualcosa di dolce: erano tutte senza zucchero. Solita sfiga!» sorride, scuotendo la testa.«Lo hai visto?»«No. La bara era già chiusa quando sono arrivato a casa…»«Io ho preferito evitarmi la scena…»«Non è facile…»«La madre ti ha chiesto di me?»«È uno straccio. Non capisce neanche dove si trova…e il padre…lo dovevi vedere…un fantasma. Hanno pensato a tutto le sorelle…le zie di Alfonso…»«C’era qualcuno con lui quando…» mi fermo, non riesco a pronunciare la parola.«Sua madre. Ha preso in affitto una camera in una pensione vicino all’ospedale.»«E la casa di Alfonso?»«Ha preferito dormire altrove.»La messa è finita. Lo capiamo dalla folla che inizia a defluire lentamente fuori dalla chiesa, posizionandosi ai lati del carro funebre, con il portellone aperto. Un addetto dell’agenzia sistema le corone di fiori sul tetto del carro e attende l’arrivo dei colleghi con la cassa in spalla. Alfonso esce dalla chiesa in un’esplosione di applausi. I genitori, piegati sotto il peso del dolore, seguono la bara senza salutare la folla di amici e parenti radunati nell’ampio piazzale. Sostenuti e controllati a vista dai parenti, salgono in una macchina parcheggiata sotto un filare di mandorli e si dirigono mestamente verso il cimitero. Vedere la madre di Alfonso, donna energica e combattiva, camminare curva con le mani tremanti, mi fa capire che qualcosa di irrimediabile è davvero successo.Ci raggiungono Aldo e Irene con gli occhi collassati dal pianto. Un pallore diffuso nell’incarnato del viso di Irene mi fa pensare al peggio. Distinguo chiaramente i singoli pori della pelle. «Andiamo?» chiede Aldo.Antonio si alza scuotendo la polvere dai pantaloni e ci segue in silenzio. Vedo diversi amici di Alfonso – conosciuti in occasione di feste di compleanno, capodanni, gite fuoriporta e concerti - dirigersi verso le macchine parcheggiate sulla strada. Saluto qualcuno con un gesto della mano e ignoro qualcun altro fingendo di non vederlo. «Io salto questo giro…»«Non vieni?» mi chiede Aldo.«No…salutatelo voi per me.»«Ci sentiamo domani?»«Chiamo io…»Aldo capisce il mio stato d’animo e non insiste oltre. Io e Alfonso siamo stati una cosa sola per troppo tempo per riuscire ad abituarmi all’idea che una parte di me non esista più. Attraverso la strada e mi dirigo verso la macchina senza pensare al caldo. Entro, metto in moto, accendo lo stereo e mi allontano da quel sole spietato canticchiando Personal Jesus dei Depeche Mode.

(continua...)

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