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Brasile: Ordem, progresso… e favelas

Creato il 04 luglio 2013 da Bloglobal @bloglobal_opi
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di Martina Vacca

Brasile-economia
Il gigante si ribella. Le nuvole dei gas fumogeni di questi giorni oscurano l’apparente splendore di un Brasile che ha deciso di puntare in alto, diventando la sesta economia mondiale. Gli ultimi dieci anni sono stati infatti quelli in cui la società è progressivamente maturata così come è cresciuta e si è sviluppata l’economia. Dietro gli intensivi programmi sociali del governo e la forte crescita economica, dietro l’eldorado degli investimenti e dei brand internazionali, si cela però l’insoddisfazione e l’eclatante dissenso di una popolazione ancora oggetto di profonde ingiustizie sociali, risorse pubbliche mal gestite e corruzione.

All’inizio di giugno le proteste iniziate a San Paolo in seguito all’aumento delle tariffe per il trasporto pubblico, hanno avuto un effetto domino su tutte le maggiori città brasiliane. Dopo la repressione violenta della polizia verso i cortei, i Brasiliani sono di nuovo scesi in piazza a Rio de Janeiro e a Brasilia, in concomitanza dell’inizio della Confederations Cup. Il bilancio non lascia adito a dubbi: 2 morti, decine di feriti, centinaia gli arrestati.

Ma chi sono i manifestanti? I ceti medio-alti, i giovani dell’emergente classe media, i figli del boom economico degli ultimi anni, gli abitanti delle favelas. Sono loro a richiedere una crescita che sia sinonimo di benessere, in termini di riforme nell’ambito dell’educazione, del rispetto dei diritti, dell’ambiente, dell’efficienza dei servizi. A guidare gran parte della protesta è stato il Movimento Passe Livre (MPL), che si autodefinisce “apartitico” e che ha indirizzato i manifestanti a Brasilia, dove – nella sede del distretto del Governo Federale – ha consegnato una bozza per un progetto di legge che prevede l’eliminazione del pagamento dei biglietti per autobus e metropolitane. Eppure, nonostante la scintilla della rivolta sia stata proprio il rincaro del trasporto pubblico, in breve tempo le richieste dei manifestanti si sono estese alla domanda di servizi pubblici e di assistenza sociale migliori.

All’interno della protesta hanno iniziato a delinearsi preogressivamente le voci delle diverse classi sociali: una sinistra frammentata che lotta per una politica senza partiti e senza corruzione e che trova espressione nei movimenti quali LGBT, Movimento Sem Terra o Marcha Mundial das Mulheres; una destra conservatrice, sostenitrice dello sviluppo del capitalismo brasiliano; gli abitanti delle favelas, gli emarginati, coloro che sono stati sfrattati dalle proprie abitazioni per far spazio agli impianti per le attuali e future manifestazioni sportive; quelli che proprio con il calcio sono cresciuti e che in campo sanno trasmettere autenticità e passione genuina per lo sport , quelli per cui il calcio non è business e che non possono condividere uno dei propri vanti e simboli nazionali con il resto del pubblico mondiale perché i biglietti hanno prezzi inaccessibili.

Ma il Brasile è la sesta economia mondiale: il governo di Dilma Rousseff – che, anche sulla base della propria esperienza personale, ha riconosciuto l’essenza democratica che muove il popolo brasiliano – ha attuato sulla scia di Lula importanti piani sociali, ha registrato una crescita economica vertiginosa e ha ridotto la disoccupazione ai minimi storici, registrando tra il 2004 e il 2010 un avanzo commerciale medio annuo superiore a 33 miliardi di dollari.

Brasile-povertà

Ma allora cos’è che non torna nel Brasile della Presidenta? Facciamo qualche passo indietro.

Il partito di ispirazione socialdemocratica di Lula andò al governo nel 2002: il Brasile allora era un Paese semicoloniale, che nonostante le misure prese dall’ex Presidente Cardoso aveva usufruito di un prestito triennale di 41.5 miliardi di dollari da parte del Fondo Monetario Internazionale in cambio dei piani di aggiustamento strutturale. Il programma di Lula aveva stabilito di rompere con il passato a livello macroeconomico e di introdurre un tetto al pagamento degli interessi sul debito domestico.

Brasile-borsa-famiglia
Le misure economiche adottate da Lula andarono in direzione del miglioramento delle aspettative di inflazione e delle ragioni di scambio e dell’apprezzamento del real al fine di equilibrare i conti con l’estero. Nell’ambito dei programmi sociali la “Borsa famiglia” – che nel tempo hanno interessato quasi 50 milioni di Brasiliani – ha consentito di versare assegni familiari ai più poveri, in cambio dell’assicurazione da parte delle famiglie dell’educazione e della frequenza scolastica dei propri figli, partecipando inoltre a una serie di seminari sulla nutrizione e sulla prevenzione delle malattie. Lula prima e la Rousseff poi, sono riusciti a ridurre la povertà dal 37,5% al 20, 9%. Questo senza dimenticare il crescente protagonismo nei meccanismi di integrazione latinoamericana entrando a far parte del MERCOSUR come maggiore potenza.

Nelle fasi successive dello sviluppo sembra però aver preso il sopravvento la crescita economica in termini di indicatori economici e di elevati livelli di consumo, senza che ciò si sia coniugato perfettamente con l’idea di benessere in senso lato per tutta la popolazione. La decisione di dare la priorità a settori come la green-economy, l’agro-business, l’edilizia o i grandi eventi, ha prodotto una forte dipendenza da multinazionali e gruppi di interesse il cui potere politico è proporzionale al proprio peso economico.

E’ questo il paradosso: si tratta di un’economia fiorente, ma dove non tutti ne guadagnano.

La Presidente ha affrontato in questi giorni le proteste, affermando di voler concordare con i Governatori degli Stati il miglioramento dei servizi pubblici e di voler sottoporre a referendum popolare una riforma del sistema politico, attraverso la creazione di un’assemblea costituente. E’ stato approvato in seno alla Camera, inoltre, un disegno di legge in base al quale il 75% dei guadagni derivanti dalle risorse petrolifere sarà destinato all’istruzione e il 25% alla sanità. Contemporaneamente il Parlamento ha respinto la cosiddetta “Pec 37”, la proposta di emendamento costituzionale che avrebbe limitato i poteri di indagine della procura federale e avrebbe aumentato, così, il rischio di una maggiore corruzione tra i pubblici funzionari.

In tutto il bailamme di questi ultimi giorni, di fatto, non mancano i casi di corruzione interni al Governo e spese considerate come sprechi personali della Presidentessa, che hanno contribuito, insieme al resto, a lederne l’immagine. L’immagine di quella stessa di Dilma Rousseff, che, militante del Partito dei lavoratori, partecipò attivamente alla lotta contro la dittatura militare in Brasile.

Ecco, se vuole riconquistare il suo popolo, la Signora Rousseff deve ripartire da lì, dal momento in cui iniziò la sua carriera: vicino ai più deboli, a favore dei diritti prima che dell’economia lobbistica, lontano dalle lusinghe del denaro e del potere.

* Martina Vacca è Dottoressa in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l’Università di Bologna

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