Come il maratoneta che per ultimo, a diverse ore dal vincitore, taglia il traguardo, ieri ho visto l’ultima puntata di Breaking Bad credo dopo chiunque in Italia (e forse nel mondo).
Noi appassionati di serie TV made in USA siamo telespettatori un po’ particolari, abbiamo i nostri riti, le nostre manie, persino un linguaggio da iniziati che ci porta spesso ad assumere dei comportamenti che, visti dal di fuori, sembrano appartenere al mondo del non senso.
Ho iniziato ad interessarmi alla serie tv pluripremiata Breaking Bad qualche giorno dopo che uscì la prima puntata negli Stati Uniti, quindi praticamente in contemporanea, quando era ancora pressoché sconosciuta. L’ho guardata ovviamente in lingua originale perché in Italia sarebbe arrivata molto dopo.
Ecco un primo refrain di NOI fruitori delle serie tv non italiane: “guardala in lingua originale, che il doppiaggio fa schifo”.
In realtà il doppiaggio fa schifo quando hai iniziato a guardarla in lingua originale e poi passi all’italiano, ma non perché il doppiaggio sia fatto male (in qualche caso sì, ma non sempre) ma perché l’orecchio si è abituato ad altre voci, ad altri accenti. Insomma, sarebbe anche bene sfatare il mito “fighetto” del guardare le serie TV in lingua originale, magari con i sottotitoli in italiano. Chi ha visto Breaking Bad in italiano dalla prima alla quinta stagione, quella finale, non si è perso nulla.
Insomma ho visto le prime quattro stagioni in contemporanea con gli USA e l’ultima quest’anno, ultima puntata vista ieri, dopo che la serie è già andata in onda al completo in tutte le sue stagioni anche in Italia, e si è conclusa da un pezzo.
Più di un anno è passato per me tra la visione della quarta e quella della quinta stagione, tra l’altro con il rischio “spoiler”, altro termine che, per i pochi che ancora non lo sapessero, significa “svelamento del finale” a tradimento, aggiungo io.
Arrivo quindi buon ultimo a dare un giudizio su una serie che quasi all’unanimità è stata definita un capolavoro. Giudizio che confermo.
Mi son chiesto però: perché quell’anno e mezzo di attesa prima di guardare la quinta stagione e quindi la fine?
La risposta? Quello che io chiamo “effetto Lost”, anche se più propriamente sarebbe giusto chiamarlo “effetto Dexter”.
A differenza di Lost e Dexter in verità Breaking Bad non ha mai presentato segni di cedimento con il passare degli anni, è stata una serie sempre in crescendo, di puntata in puntata. Lost invece, di stagione in stagione si è rivelata sempre più confusa e brodo-allungata e Dexter ha registrato picchi di qualità negli episodi centrali della stagione, ma trama molto ripetitiva e finali disastrosi.
Breaking Bad per me rischiava proprio di rovinare tutto con il finale. Una serie perfetta fino ad allora rischiava di chiudersi male, con un finale buttato lì in fretta, senza curar troppo i particolari.
E invece no. Quinta stagione capolavoro, finale capolavoro.
Oggi siam tutti a decantare la grandezza della serie cult del momento True Detective, anche in questo caso giustamente scomodando il termine “capolavoro”, ma il livello raggiunto da Breaking Bad nell’arco di 5 annate stacca di gran lunga anche quest’ultima.
Bryan Cranston, Aaron Paul, Bob Odenkirk, Jonathan Banks, Anna Gunn, Dean Norris e Betsy Brandt, per citare solo alcuni dei protagonisti del cast, non sono attori famosi decaduti e riabilitati dalle serie tv, o premi oscar con la voglia di nuove sfide, dovranno semmai per il resto della loro carriera confrontarsi continuamente con le performance mostrate in questa produzione.
Il bello di Breaking Bad e dei suoi protagonisti (e anche il segno per me della sua unicità e grandezza) è che non mi mancheranno, perché non mi hanno mai dato troppa confidenza e io poco ne ho data a loro, bastiamo entrambi a noi stessi.