Ed eccomi qui, a sputar fuori tutta la mia insoddisfazione sulle note di Let’s do it, composta da Cole Porter e cantata da non mi interessa chi; ma, ascoltando questo pezzo saltellante da un sorriso cordiale ad una gioviale camminata a braccetto di un bellissimo ragazzo, non si può che sorridere. Errata Corrige. Eccomi qui a scrivere a quanti vorranno leggere queste parole materializzatesi su codesta pagina bianca per caso, sulle note di Let’s do it, accompagnate dal martellante ritmo dei clack di ogni tasto che rientra in questa tastiera nera, marcata HP. Ma quale sarà il problema che tanto fa arrovellare le poche rotelle rimaste a lavorare nel mio senno, dato che sono fermamente convinta di averne perse alcune a Neverland con lo zio Tootle (vedi Hook Capitan Uncino)? Siamo a gennaio e sono una studentessa. Potrei anche mettere un punto qui, adesso, poiché immagino abbiate già capito di cosa parlerò; ma, purtroppo per voi, Cole Porter ha deciso di dedicarmi Night and day, ed io immagino che sia proprio lui a cantarla, finalmente, così il mio scorrere potrà essere meno febbrile e più rilassato, almeno per altri due minuti. Bene, dicevamo, siamo a gennaio e una studentessa, in questo particolare mese dell’anno, non può che ricorrere allo studio “matto e disperatissimo” (forse questo uno dei modi di dire più veri della storia dei modi di dire), e non c’è sempre Cole Porter a farti canticchiare serenamente, come se stessi ballando con uno spazzacamino di nome Bert nei parchi di Londra. Anything goes, adesso. Qualcosa mi dice che atterrare da questo volo pindarico richiederà molto più tempo del previsto, soprattutto se il caro Cole continua a suonare ammiccando. Tentar non nuoce (e sono due proverbi incredibili). Il problema è lo studio. Ma non solo. Alzarsi ogni mattina, lavarsi, fare colazione e sedersi alla scrivania per dedicarsi amabilmente ad una versione di latino non è il solo tassello del dramma. No. Insomma, è il 70 % del dramma. Ma in matematica sono fortissima, e credo manchi un 30 %. È di fronte alla mia scrivania bianca, occupata da computer dizionario penne matite orologi lucina bicchiere d’acqua ed evidenziatori, che si consuma il terzo atto della tragedia. Solo un attimo, scelgo la prossima canzone. You’re the top dico a quello che vedo quando alzo gli occhi dallo schermo: centinaia di oggetti, diversi per dimensione, colore e scritta sul dorso: libri, libri, libri. Li ho chiamati impropriamente oggetti, ma loro sono vivi, soprattutto in questo periodo di clausura forzata. E parlano, anche. Un tempo, nei momenti di maggiore follia pre-esame ero solita conversare con i mobili: più o meno verso le undici di sera, quando tutto è silenzioso e buio, e ci sei soltanto tu, con gli occhiali ed una tazza di tisana in mano, un “Forza ragazzi” indirizzato al letto e all’armadio non può mancare. I love Paris, sempre Porter, ma adesso riconosco che la voce è quella di Frank Sinatra. Quest’anno invece, non ho ancora raggiunto quel particolare picco di stramberia, ma c’è qualcosa di più forte a farsi sentire. Non avrei mai pensato di dirlo, ma: maledetti libri! Sono lì tutti in fila, li sento bisbigliare, confabulare, preparando una sorta di sommossa che mi farà crollare. Un giorno. Non molto lontano. E non è soltanto perché sto traducendo il Libro XV degli Annales di Tacito che penso alla congiura. Io ne sono consapevole: Charles Dickens si è messo d’accordo con Mark Twain per permettere ad Huckleburry Finn di sporgersi dal suo scaffale per farmi l’occhiolino ed invitarmi a viaggiare con lui. 1q84 mi aspetta da un mese a pagina 208, lamentandosi come una ragazza rimasta ad aspettare lui per un’ora, al primo appuntamento. Per non parlare di David Grossman, che è caduto fuori dal tempo sul mio letto, un privilegiato, quindi, che e se ne sta lì, stravaccato, con quel bianco e nero molto cool, chiamandomi, di notte. E poi Tristram Shandy che non fa altro che esporre la storia della sua vita e le sue opinioni tutto il santo giorno, facendo sbellicare Svevo, che accanto a lui, mi ammalia con la sua Senilità. E poi Moravia e 1934 e Fitzgerald, che si presenta perfino nei film, insieme a Zelda e Cole Porter, nella stessa festa, a Parigi, agli inizi del ‘900.
È una congiura. Sicuro.
Non posso cedere. Io devo concentrarmi, ho deciso di laurearmi (nuovamente) in lettere per studiare latino, filologia, linguistica, non per leggere dei bellissimi romanzi impazziti. O forse è il contrario?
Glenda Gurrado