Staccandoci dal clima di indignazione generale e dalla voglia di conoscere il mostro esecutore, continuo a chiedermi se a questo tragico evento sia necessario dare un volto: quello innocente di Melissa Bassi, capro espiatorio di un normale sabato scolastico finito in quel maledetto giorno da cani. “I ragazzi non si toccano” e ce lo siamo detti già, a Brindisi e altrove. Tuttavia, questo sacrosanto comandamento non vale soltanto per mafiosi, terroristi o farabutti, ma anche per chiunque faccia informazione.
Oggi portatori sani di notizie, piacevoli o tristi, lo siamo un po’ tutti. Basta lanciarsi sulla pista di pattinaggio dei social. L’emotività è così esplosiva da quelle parti che forse ci può stare una foto di Melissa girovaga da una bacheca all’altra di Facebook. Facciamola passare per una smisurata preghiera in formato digitale, sperando che il Padreterno sia diventato tecnologico e non se la prenda a male se ci siamo ridotti ad invocarlo sotto forma di clic. E ci può stare pure il gossip innocente del fidanzatino di Melissa, che tra brufoli, bacetti e litigate, si porterà dietro la polaroid più dolorosa degli anni scolastici.
Gli studenti, che sabato scorso a Brindisi hanno preso parte alla manifestazione “Io non ho paura”, avrebbero dovuto protestare anche contro quello sciacallaggio mediatico che pianta il dolore e la disperazione nella radice della furfanteria clownesca. Fare zapping e incrociare il padre di Melissa pedinato da una telecamera, con lo stesso stile cinematografico di Gus Van Sant, è l’ennesimo oltraggio ad un dolore pubblico e privato.
Io non ho paura di chi vorrebbe farci credere che in Italia anche la scuola sia diventata una trappola per topi di fogna.Io ho paura di chi si è assuefatto che lo show debba continuare sempre e comunque. Io ho paura di chi ha scambiato una bara bianca per un set da fiction, distruggendo l’incantesimo di una vera preghiera: una catena infinita di parole dell’anima che dovrebbe mettere la piccolezza umana al riparo, tra le braccia del Padreterno.