di Alessandro Ambrosini
Ricordo bene i giorni di Capaci e Via D’Amelio. Ricordo bene le bombe mafiose che hanno sfidato lo Stato. Avevo quei vent’anni spensierati e ribelli che ti rimangono imprigionati nell’anima. Vent’anni in cui non sei troppo giovane per capire ma neanche troppo vecchio per vedere dentro al fatto tragico la verità nascosta.
Troppi anni e troppi fatti sono trascorsi senza una risposta logica e vera in questa nostra Italia. Un tempo bloccato che sembra non passare mai nelle troppe morti senza un perché, senza un colpevole certo. A Brindisi giorni fa, e sembra un secolo, quella bomba senza anima ha fermato di nuovo l’orologio della civiltà ed ha azionato la macchina del complotto o, per meglio dire, dei complottisti.
Per capire meglio, facciamo un passo indietro e analizziamo con ordine e con attenzione quello che è successo nella comunicazione di quelle ore. Mentre ancora le ambulanze correvano verso i più vicini ospedali, la macchina dell’informazione, dopo aver appurato il numero dei feriti e delle vittime, si chiedeva quale movente e chi potrebbe aver compiuto una barbarie del genere.
Era assetata di dettagli, attimi, minuti che il tempo ha bruciato per sempre e, per averne un piccolo accenno, violentava chi stava morendo di dolore, familiari, amici delle vittime, abitanti del posto.
Subito si è parlato di simboli: il nome della scuola, l’impegno dell’Istituto contro il crimine, la carovana della legalità, la data nel ricordo di Falcone e Borsellino. Tutte parole che avevano un unico comun denominatore: mafia. Ed è alla mafia che ci si è rivolti subito, almeno nella maggior parte dei politici, magistrati e giornalisti intervistati, forse troppo coinvolti da presenze come quelle di Don Ciotti e della sua associazione Libera o dal fatto che tempo fa un dirigente della stessa associazione fosse stato vittima di un attentato alla sua macchina.
Tutto girava intorno a questa tesi, una tesi che strideva con i modus operandi della mafia siciliana ma soprattutto pugliese, di cui non bisogna dimenticare che, per ogni azione militare corrisponde un motivo legato a un business o a una forma di interesse diretta. Ma quale organizzazione criminale poteva muoversi in questo modo sconsiderato contro dei ragazzi e contro un territorio in cui solitamente cercano di avere consenso?.
Man mano che passavano le ore una seconda tesi si faceva strada nei pensieri e nelle parole del variegato mondo dell’opinione pubblica: la destabilizzazione del sistema, il messaggio di terrore di una fantomatica Spectre costituita da una parte dei servizi segreti ovviamente deviati, logge massoniche e oscuri faccendieri al soldo di qualche struttura sovranazionale.
Non che non sia successo, non che non siano esistite certe forme di collaborazioni nefaste o che siano in atto delle congiunture di strutture non esattamente legali ma, colpire una scuola a Brindisi con tre bombole di gpl non è esattamente una modalità da torbidi piani occulti.
Eppure la realtà rischia di essere più tragicamente banale di quello che si crede. Folle e lucida pazzia, forse mista a una forma di rivalsa verso la scuola, verso qualcosa che fa parte di quella città, di quell’ambiente. Questo è probabilmente lo scenario più realista rispetto alla tragedia. Uno scenario semplice, che non riguarda mafie, clan, cosche o famiglie, non tocca servizi segreti, massoneria o P6, P7, P8. E’ l’imprevedibile pazzia di un “singolo” personaggio.
La pazzia di un uomo che non avendo nulla per cui esistere decide di ritagliarsi una pagina nella storia creando qualcosa per far morire degli innocenti. E mentre si consumeranno tutti i riti di questa tragedia il caravanserraglio di dichiarazioni, di analisi da operetta, di slogan autoreferenziali detti quasi con le lacrime agli occhi spariranno dalla memoria di ognuno. Resteranno i ricordi di una mattina di fuoco e morte, di un volto, di abiti che fumano, di madri che piangono e sirene che tagliano l’aria.
Resterà chi la mafia la combatte seriamente ogni giorno, senza clamori, con cognizione di causa.
Calerà il sipario sull’antimafia dello spettacolo, dei politici che lanciano anatemi contro i colpevoli a tutte le ore, mentre magari hanno qualche carico pendente, dei magistrati che gridano al clima del 93, dei “non ci arrenderemo mai” solo davanti alle telecamere e resterà l’antimafia del presente e del futuro.
Quella del passato è già parte di noi.
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