Ha già fatto buio e non vedo la mia Acquacalda, passando, né sento le campane che suonano a morto. E’ strano essere di nuovo qui, e con Malli. Sono stati giorni di liti furibonde tra me e lei, evidentemente stiamo prendendo le misure per tornare ad essere mamma e figlia.
Ci siamo fatte male, ci siamo lasciate a piedi.
Poi siamo andate al bar:
“Buongiorno, cosa prendete?
“Quella brioche a forma di tartaruga”
“Che?”
“Ma sì, non la vede? E’ lì davanti!”
“Ma veramente io…” – la gentile barista estrae il vassoio.
“Ecco, l’ha fatta cadere sui panzerotti”.
E non paghe, arrivate a casa le abbiamo messo quattro mini gocciole come zampe e fatto un servizio fotografico con il cellulare di Malli color bougainville (“il colore dell’estate”). Certo prima di arrivar a casa ella aveva tentato di scassinare una Punto blu, scambiandola per Fiesty, la quale giaceva pacifica dall’altra parte di Lipari.
Sulla nave, Malli ha cuccato: giornalista precario co.co.co, campano [oggi le ha già telefonato, forse domenica si vedono: non dev’essere davvero mia madre, ndS]; le si è appiccicato mentre ero sul ponte della nave a prendere la pioggia di Stromboli e a discutere di rapporti con N, il mio antirapporto. Falco Campano, comunque, ha deciso probabilmente di voler dormire con Malli, così ci ha accompagnato alla disperata ricerca di una poltrona per la notte. Io e lei ci accomodiamo, mentre Falco Campano si sposta un po’, cerca di sedersi su una poltrona della fila centrale ma viene interrotto dagli improperi in romanesco del ragazzo che sta calpestando. Malli si scompiscia, mentre io, troppo triste per ridere delle disgrazie altrui (e ho detto tutto) cerco di dormire, ma essendo fisicamente incapace di farlo a pancia in su, scivolo rovinosamente in terra, a fare compagnia all’amico romano calpestato. Con la (poca) dignità rimasta, fingo di averlo fatto apposta e con un’infinita nonchalance prendo la stuoia dicendo “io preferisco dormire a terra. Buonanotte”. Non una grande scelta, s’intende, perché oltre alla porta del cesso che sbatte ad ogni onda, lo sciacquone così potente che potrebbe risucchiare Galeazzi, gente che sta male per il maroso, sono cullata da un rollio di motori e moto ondoso di mare incazzato.
La tortura si protrae perché la nave arriva con sole quattro ore di ritardo e Malli sdraia me e le mie labbra ormai bianche su una panchina del ponte, avvolgendomi in un piumino così gonfio che sembro il fratello africano dell’omino Michelin.
Il viaggio in auto è un’altra storia e già archiviata. Vi basti sapere che Malli ha capito come si accende e spegne l’aria condizionata della SUA macchina solo a Bologna, perciò ogni tanto, pur di non chiedere aiuto, poggiava sul cruscotto assolato due piedi in versione ghiacci della borsa termica.
Poi, all’altezza di Parma, in preda al panico perché non arrivava l’uscita ‘Fiorenzuola’, mi ha imposto di prendere la Parma – La Spezia: non fosse stato per il benzinaio, a quest’ora forse sarei alle Cinque Terre.
Aggiornamenti bresciani:
La città non è implosa come credevo, in questi quaranta giorni.
I miei scatoloni sono passati da trenta a cinque, in un giorno e mezzo.
Ne avevo già le palle piene, in due ore.
(Siccome non avevo guidato abbastanza a Lipari e da Napoli a Brescia – con deviazione spezzina - ieri sono andata a Verona a recuperare Fidanzata.)
Continuo a dire “minchia”*: sono scandalosamente antifemminea sebbene bionda e bella (grazie N, ma lo ero anche rossa; ora non sono più doppio malto, però).
Se mi ficca le scarpe in qualche altro stipetto, lancio Malli dal castello. Con affetto, ovviamente.
* Per amor di verità la frase che dico quasi sempre è: “Iò chiddi com’a tì m’i sbatto ‘nta minchia”.
Grazie ad Amur e a tutti gli altri Sautsletache che mi hanno aiutato a salutare la ragazza di città posata e garbata che ero.
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