Se lo aspettavano tutti, ma quello che puntualmente sorprende dalle nostre parti sono le reazioni. Non si capisce se siamo diventati un popolo di freddi calcolatori o se quello che ci succede intorno semplicemente non ci interessa. Siamo in A2, che è un po’ come la serie B calcistica nell’era “pro”, Moody’s ci declassa per “incertezze politiche” e Silvio dice: “Ma che me ne frega a me! Non cambia nulla, andiamo avanti”, ci sarebbe da aggiungere “con la legge bavaglio” e la “prescrizione breve” ma tanto, ancora una volta, lo sanno tutti. Qualche mese fa ci fu un segnale che in molti colsero mentre per altri restò al livello di un semplice lancio di agenzia. Una mattina Zapatero si svegliò, si rase, fece la doccia, addentò una robusta colazione e appena uscito di casa, ai giornalisti che come ogni mattina lo aspettavano per capirne l’umore, disse: “Sapete che c’è, io non alle elezioni non mi ripresento. Non finisco il mandato, torniamo a votare presto e me ne vado”. La reazione delle borse fu quella che Zapatero si aspettava, chiusero in positivo dopo settimane di segni meno. Era stato sufficiente ventilare un cambio della guardia nella politica spagnola che i mercati avevano risposto tornando a investire su Madrid. Ieri, in Lussemburgo, a lato del vertice Ecofin, il superministro dell’Economia e dei Tagli, alias Giulietto Tremonti, ha suppergiù fatto capire che la cosa potrebbe funzionare anche in Italia. A domanda di un giornalista: “Ma ministro, perché l’Italia paga di più il debito rispetto agli spagnoli?”, Tremonti ha risposto: “Potrebbe dipendere dall’annuncio delle elezioni anticipate”. Apriti cielo. Da PalazzoGrazioli sono partiti i primi colpi di contraerea, mentre la fanteria aspettava che Tremonti rientrasse in Italia per impallinarlo appena attraversato il confine. Renatino Brunetta, al quale il matrimonio fa un gran bene visto che ha eliminato quella brutta pancia che lo rendeva più simile a un botolo che a un essere umano, ha dichiarato con il solito ghigno da satanasso incazzato con madre natura: “Tremonti ha detto una stupidaggine”. Pari e patta con il “cretino” con cui lo apostrofò Giulio in un indimenticabile fuorionda. Rapida la marcia indietro di Superpippo ma ormai il danno era fatto. A questo punto non si capisce più chi tiene per le palle chi. Se è Bossi a tenerci Tremonti o è Tremonti che sa tante di quelle cose che se parlasse scatenerebbe un putiferio. Se è Giulio a tenerci Silvio che lo vorrebbe far fuori da un pezzo ma non lo fa, o se è Silvio che sta aspettando che Tremonti si suicidi. Comunque la si voglia mettere quella del Lussemburgo è un’altra delle perle tremontiane che, a furia di infilarne una dietro l’altra, ha risolto di fatto il problema dei gadget di Silvio alle concubine: collana di perle per tutte che tanto paga zio Giulio. Impegnatissimi a scazzarsi fra di loro, gli uomini (e le donne) del Pdl non hanno detto una sola parola su quanto accaduto a Barletta. A un governo che ha visto crollare Pompei cosa volete che gliene freghi di una fatiscente palazzina pugliese. E non conta neppure che a Pompei non è morto nessuno (forse qualche cane randagio non censito) mentre nel crollo di Barletta sono morte quattro donne e una ragazza. Vedete come anche per i pidiellini i morti non sono tutti uguali? Muore un soldato in Afghanistan e La Russa si precipita ad accoglierne la salma in aeroporto, muoiono quattro operaie e una ragazza di quattordici anni che lavorano in nero e a quattro euro l’ora e nessuno muove un dito, manco per fare le condoglianze ai mariti disoccupati o cassintegrati. È il segno dell’Italia che non va, di una crisi che ha minato alla base il concetto di “sicurezza” sul lavoro, che considera gli uomini e le donne oggetti da “produzione” ai quali dare “un tozzo di pane e una ciotola di riso”. Qualcuno potrebbe dire “Si, va bè, ma Marchionne che c’entra?”. Purtroppo c’entra eccome, perché è la sua concezione del rapporto fra datore di lavoro e operaio, fra margini di rischio e sicurezza sul lavoro, che è viziato da una logica padronale ottocentesca. Questi sono i risultati dell’ignavia con la quale il governo di perverse mezzeseghe che regge i fili del potere in Italia, considera il liberismo, il mercato open, la globalizzazione. Se poi qualcuno muore nelle cisterne delle raffinerie dei Moratti in Sardegna o negli altiforni della ThyssenKrupp a Torino o in uno squallido maglificio pugliese, è la stessa cosa, rientrano tutti nei “margini di rischio”. Lontani anni luce da qualsiasi attacco di populismo o di giornalistica retorica del pianto, queste ultime morti non ci impietosiscono, ci fanno incazzare, ci causano lacrime sì ma di rabbia, come se decenni di lotte operaie fossero finiti nel macero di una cartiera qualsiasi. Siamo arrivati al punto che in Italia i morti sul lavoro vengono considerati “danni collaterali”, esattamente come i morti civili nei conflitti bellici. Ma quelle sono guerre, questo dovrebbe essere solo lavoro. Quelle sono guerre, ma questo dovrebbe essere solo un certificato di abitabilità.
Magazine Politica
Brunetta: “Tremonti dice stupidaggini”. E a Barletta si muore per quattro euro l’ora
Creato il 05 ottobre 2011 da Massimoconsorti @massimoconsorti
Se lo aspettavano tutti, ma quello che puntualmente sorprende dalle nostre parti sono le reazioni. Non si capisce se siamo diventati un popolo di freddi calcolatori o se quello che ci succede intorno semplicemente non ci interessa. Siamo in A2, che è un po’ come la serie B calcistica nell’era “pro”, Moody’s ci declassa per “incertezze politiche” e Silvio dice: “Ma che me ne frega a me! Non cambia nulla, andiamo avanti”, ci sarebbe da aggiungere “con la legge bavaglio” e la “prescrizione breve” ma tanto, ancora una volta, lo sanno tutti. Qualche mese fa ci fu un segnale che in molti colsero mentre per altri restò al livello di un semplice lancio di agenzia. Una mattina Zapatero si svegliò, si rase, fece la doccia, addentò una robusta colazione e appena uscito di casa, ai giornalisti che come ogni mattina lo aspettavano per capirne l’umore, disse: “Sapete che c’è, io non alle elezioni non mi ripresento. Non finisco il mandato, torniamo a votare presto e me ne vado”. La reazione delle borse fu quella che Zapatero si aspettava, chiusero in positivo dopo settimane di segni meno. Era stato sufficiente ventilare un cambio della guardia nella politica spagnola che i mercati avevano risposto tornando a investire su Madrid. Ieri, in Lussemburgo, a lato del vertice Ecofin, il superministro dell’Economia e dei Tagli, alias Giulietto Tremonti, ha suppergiù fatto capire che la cosa potrebbe funzionare anche in Italia. A domanda di un giornalista: “Ma ministro, perché l’Italia paga di più il debito rispetto agli spagnoli?”, Tremonti ha risposto: “Potrebbe dipendere dall’annuncio delle elezioni anticipate”. Apriti cielo. Da PalazzoGrazioli sono partiti i primi colpi di contraerea, mentre la fanteria aspettava che Tremonti rientrasse in Italia per impallinarlo appena attraversato il confine. Renatino Brunetta, al quale il matrimonio fa un gran bene visto che ha eliminato quella brutta pancia che lo rendeva più simile a un botolo che a un essere umano, ha dichiarato con il solito ghigno da satanasso incazzato con madre natura: “Tremonti ha detto una stupidaggine”. Pari e patta con il “cretino” con cui lo apostrofò Giulio in un indimenticabile fuorionda. Rapida la marcia indietro di Superpippo ma ormai il danno era fatto. A questo punto non si capisce più chi tiene per le palle chi. Se è Bossi a tenerci Tremonti o è Tremonti che sa tante di quelle cose che se parlasse scatenerebbe un putiferio. Se è Giulio a tenerci Silvio che lo vorrebbe far fuori da un pezzo ma non lo fa, o se è Silvio che sta aspettando che Tremonti si suicidi. Comunque la si voglia mettere quella del Lussemburgo è un’altra delle perle tremontiane che, a furia di infilarne una dietro l’altra, ha risolto di fatto il problema dei gadget di Silvio alle concubine: collana di perle per tutte che tanto paga zio Giulio. Impegnatissimi a scazzarsi fra di loro, gli uomini (e le donne) del Pdl non hanno detto una sola parola su quanto accaduto a Barletta. A un governo che ha visto crollare Pompei cosa volete che gliene freghi di una fatiscente palazzina pugliese. E non conta neppure che a Pompei non è morto nessuno (forse qualche cane randagio non censito) mentre nel crollo di Barletta sono morte quattro donne e una ragazza. Vedete come anche per i pidiellini i morti non sono tutti uguali? Muore un soldato in Afghanistan e La Russa si precipita ad accoglierne la salma in aeroporto, muoiono quattro operaie e una ragazza di quattordici anni che lavorano in nero e a quattro euro l’ora e nessuno muove un dito, manco per fare le condoglianze ai mariti disoccupati o cassintegrati. È il segno dell’Italia che non va, di una crisi che ha minato alla base il concetto di “sicurezza” sul lavoro, che considera gli uomini e le donne oggetti da “produzione” ai quali dare “un tozzo di pane e una ciotola di riso”. Qualcuno potrebbe dire “Si, va bè, ma Marchionne che c’entra?”. Purtroppo c’entra eccome, perché è la sua concezione del rapporto fra datore di lavoro e operaio, fra margini di rischio e sicurezza sul lavoro, che è viziato da una logica padronale ottocentesca. Questi sono i risultati dell’ignavia con la quale il governo di perverse mezzeseghe che regge i fili del potere in Italia, considera il liberismo, il mercato open, la globalizzazione. Se poi qualcuno muore nelle cisterne delle raffinerie dei Moratti in Sardegna o negli altiforni della ThyssenKrupp a Torino o in uno squallido maglificio pugliese, è la stessa cosa, rientrano tutti nei “margini di rischio”. Lontani anni luce da qualsiasi attacco di populismo o di giornalistica retorica del pianto, queste ultime morti non ci impietosiscono, ci fanno incazzare, ci causano lacrime sì ma di rabbia, come se decenni di lotte operaie fossero finiti nel macero di una cartiera qualsiasi. Siamo arrivati al punto che in Italia i morti sul lavoro vengono considerati “danni collaterali”, esattamente come i morti civili nei conflitti bellici. Ma quelle sono guerre, questo dovrebbe essere solo lavoro. Quelle sono guerre, ma questo dovrebbe essere solo un certificato di abitabilità.
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