da Alias, inserto de Il Manifesto
Nato a Faenza nel 1910, già all’età di 14 anni siede in panchina nella squadra della sua città. Frequenta a Imola l’Istituto Agrario, cercando di conciliare lo studio con gli allenamenti. All’età di 16 anni è già titolare nel Faenza, che nel 1926/27 disputa il campionato di Seconda Divisione.
Il giovane Neri gioca nel ruolo di mediano e il suo allenatore è l’ungherese Belassa, della scuola danubiana, allora dominante in Europa. L’anno successivo il Faenza disputa un campionato strepitoso fino a piazzarsi nella parte alta della classifica e uno degli artefici di quella stagione calcistica è Bruno Neri, che alla linea mediana del campo dà forza e sicurezza.[1] Ancora una stagione nel Faenza, poi nell’estate del 1929 a soli 19 anni Bruno Neri viene acquistato dalla Fiorentina con l’enorme cifra di 10 mila lire. Alla presidenza del club viola c’è il marchese Ridolfi, fascista e squadrista della prima ora, considerato da Mussolini un buon gerarca, che vuole allestire una squadra competitiva per passare nel campionato di serie A. Quell’anno la Fiorentina raggiunge un onorevole quarto posto e il mediano faentino disputa un campionato d’eccezione, meritandosi le lodi della stampa sportiva.
Neri è un calciatore particolare, attento alla cultura e lettore accanito, frequenta musei e pinacoteche, è di casa al Bar delle Giubbe Rosse di Firenze, il suo linguaggio forbito gli consente di avere conversazioni e coltivare amicizie con giornalisti e scrittori. È un ragazzo silenzioso Neri, attento a quello che dice, soprattutto è uno, che in campo lavora sodo, non sbaglia un passaggio e dirige con maestria la linea del centrocampo viola, tanto che l’anno successivo, la Fiorentina vince il campionato di serie B con tre giornate di anticipo e il merito principale di quell’annata calcistica strepitosa, a giudizio unanime della stampa sportiva, è di Bruno Neri.
A 22 anni per il calciatore di Faenza arriva la convocazione nella Nazionale B, allenata da Vittorio Pozzo, l’esordio è Italia-Austria che si disputa il 5 maggio 1932. Neri continua a giocare nella Nazionale B fino al 1936, quando è inevitabile la convocazione nella squadra maggiore, quella che aveva vinto il Campionato del Mondo del 1934. È il 25 ottobre del 1936 e a Milano si gioca Italia–Svizzera finita con un netto 4 a 2 per l’Italia. Ecco quanto riferisce del mediano di Faenza la Gazzetta dello Sport: “Neri imposta magnificamente l’azione che sviluppa Meazza, Ferrari, Piola”.
Settembre 1931, inaugurazione dello stadio di Firenze (l’attuale Franchi, allora dedicato allo squadrista fiorentino Giovanni Berta). Bruno Neri è l’unico col braccio non alzato
Pozzo convoca Bruno Neri anche per la partita Germania-Italia disputatasi a Berlino a novembre del 1936 e in occasione di Italia-Cecoslovacchia giocata a Genova il 12 dicembre di quell’anno. Ormai Neri è compagno di squadra di Amoretti, Monzeglio, Allemandi, Montesanto, Andreolo, Pasinato, Meazza, Piola, Ferrari, Colaussi.
L’anno successivo passa al Torino, dove si gettano le basi per la costruzione di una grande squadra. Neri viene chiamato da Erbstein, allenatore ebreo ungherese, che con le leggi razziali sarà costretto a lasciare l’Italia, stessa sorte toccata ad Arpad Weisz tecnico del Bologna. I due si erano conosciuti alla Lucchese, squadra dove era approdato Bruno Neri dopo la parentesi fiorentina e il tecnico del Torino aveva bisogno di un mediano sicuro per la squadra. Nel capoluogo piemontese Neri vive anni fervidi sotto l’aspetto culturale, alloggia all’albergo Dogana Vecchia di via Corte d’Appello, frequentato dai calciatori della Juventus, ma anche da giovani scrittori e intellettuali, incontra gli artisti che vivevano nelle soffitte di lungo Po. Intanto Bruno Neri, quando era ancora a Firenze aveva completato gli studi superiori e si era iscritto all’Istituto di Lingue Orientali di Napoli, perciò continuava a studiare e a dare esami all’università partenopea. Così lo ricorda lo storico Gerbi: “Neri frequentava giovani giornalisti e scrittori, alcuni di loro lo avevano scelto come modello di personaggio, come esempio di atleta con una sensibilità aperta e cordiale, dotato di fermezza di carattere e schiettezza nei rapporti, coraggio e fiducia nel prossimo”.
A Torino gioca fino al 1940, quando a seguito di una serie di incidenti deve ritirarsi all’età di 30 anni. Disputa la sua ultima partita a Milano in occasione di Ambrosiana-Torino, finita 5 a 1 per la squadra nerazzurra.
Tornato a Faenza con un consistente gruzzolo di 600 mila lire, Neri intensifica i rapporti con il cugino Virgilio, notaio con studio a Milano.[2] Compra una grande officina e mette a lavorare alcuni suoi amici. Gli eventi politici precipitano e attraverso il cugino, Bruno Neri entra nella Resistenza, su autorizzazione del Cln, fonda l’Ori (Organizzazione resistenza italiana), che ha il compito di fare da ponte tra le varie brigate partigiane. Entra a far parte del battaglione Ravenna e nell’ambito dell’operazione «Zella», provvede di persona al trasporto in bicicletta di una radio che farà da centro di informazione per i gruppi partigiani della sua zona. Il 10 luglio del ’44, Bruno Neri e il suo amico Vittorio Bellenghi, giocatore di pallacanestro, su autorizzazione di Vincenzo Lega, comandante del battaglione Ravenna, vanno in avanscoperta per verificare che non vi siano tedeschi sulla strada che stanno costruendo tra Marradi e San Benedetto in Alpe. Nei pressi della chiesa di Gamogna, dove sorge il cimitero, vi è una improvvisa svolta, lì si imbattono in un gruppo di una quindicina di tedeschi. Bellenghi e il comandante partigiano Berni, mediano della nazionale e compagno di squadra di Piola e Meazza, muoiono sul campo.
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[1] Il Faenza nel 1926/27 disputa il Girone C Seconda Divisione Nord, terzo livello dell’epoca. L’anno successivo è 2° nel Girone E ed è ammesso alla Prima Divisione per allargamento dei quadri, successivi alla nascita della Serie B.
[2] Berni torna anche a giocare col Faenza nel Campionato Alta Italia