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Brutti, sporchi e bastardi: Cruising

Creato il 13 dicembre 2013 da Fascinationcinema

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Ad agosto di quest’anno mi stavo scervellando su quale film recensire sul mio blog, Malastrana vhs, e la scelta cadde su Cruising di William Friedkin, uno dei grandi assenti nel mercato dei Blu ray e DVD. Solo che non mi sentii all’altezza di scrivere personalmente la critica, ma la affidai all’amico e collega Francesco Ceccamea che redasse un’analisi interessante e sicuramente diversa da quella che avrei imbastito io. Mi capita poche volte nella mia vita di avere questi abbassamenti di ego, ma esistono film che superano lo status di bello e assumono lo splendore dell’opera d’arte, talmente assoluti da essere materia divina e perciò sacra. Posso dire che Cruising (ma per restare in “campo Al Pacino” anche Carlito’s way e Scarface) è uno dei cento film che mi porterei su un’isolotto deserto insieme a due o tre modelle discinte e impudiche. Oggi voglio parlarvi, in questa rubrica-diario, proprio di Cruising, senza avere l’ambizione di fare nè una critica assoluta sul film ne di buttare giù pensieri eloquenti: siamo su questa pagina virtuale solo per fare due chiacchiere tra amici, nulla di più. Ma bando alle ciance ed entriamo nel vivo del film.

E’ il 1980 quando il regista William Friedkin decide di girare Cruising con uno dei divi più importanti dell’epoca, Al Pacino, reduce dal successo di Il padrino (1972) e Serpico (1973) tra gli altri. Sembra che l’attore non piacesse al regista: lui aveva visto nel più atletico Richard Gere il candidato ideale per un ruolo da protagonista. Come scrisse  Ceccamea: “Reduce dal successo di “Serpico” (Pacino) vorrebbe tentare il colpaccio con quest’altro agente tormentato ma non ha il coraggio di abbandonare del tutto il suo status di sex symbol etero e così buona parte dei tormenti e le ambiguità che costituirebbero la parte più interessante di tutto il progetto vanno a farsi benedire. Per carità, se vogliamo usare Pacino come capro espiatorio (cosa che non merita) allora bisogna insistere anche sui suoi limiti fisici. Lui si allena, cerca di tirar su dei muscoli, ma in fondo ha un fisico troppo scarso per recitare certi machismi che il ruolo pretenderebbe. Però si tratta di uno degli attori più carismatici che ci siano e può starci che nel giro di qualche settimane inizi a farsi notare in una riserva di caccia fatta di pettorali scolpiti, catene, borchie e linguaggi in codice per abbordaggi”. A quell’epoca Friedkin non se la passava poi benissimo: i suoi lavori precedenti, Il salario della paura (1977) e Pollice da scasso (1978), non erano stati poi grandi successi e l’ultimo (eclatante) trionfo al botteghino si poteva rintracciare nel lontano 1973 con L’esorcista. Oltretutto a Friedkin sembra che questo Cruising non interessasse poi molto: già qualche anno prima gli era stato inutilmente proposto il progetto. La produzione chiama persino il giovane Steven Spielberg per occuparsi della regia, ma alla fine non se ne fa niente, passano gli anni e Friedkin si trova a leggere degli articoli scritti da Anthony Campana su una serie di delitti ancora irrisolti nel sottoborgo sadomaso gay, scopre con interesse la storia di questo poliziotto, Randy Jurgenson, che si era introdotto sotto copertura in quell’ambiente e si ricorda di una comparsa che, sul set de L’esorcista, gli aveva parlato di questi crimini.

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Ecco allora che riprende in mano il romanzo Cruising di Gerald Walker e si appassiona al progetto. Diciamolo a scanso di equivoci: Cruising è un capolavoro, non senza difetti è vero, a volte eccessivamente urlato o semplicistico, criptico in alcune sequenze, ma appassionante, girato in uno stato di grazia mai toccato prima dal regista e così scorretto e crudele che non ti aspetti da un prodotto mainstream. A Friedkin non serve il sangue per colpire il pubblico, non farà lo stesso ragionamento di, per esempio, un Lucio Fulci che, trovandosi per le mani materia scottante e sessuale, ne Lo squartatore di New York, spingerà il piede sull’acceleratore dello splatter e del nudo. C’è in Cruising la violenza, l’emoglobina che schizza contro lo schermo del peep show a gettoni, i cazzi che sublimemente accompagnano la fantasia del killer prima dell’omicidio di apertura, ma non solo, perchè Cruising è soprattutto un’opera hardcore d’atmosfera, con i parchi pubblici di New York che si scuriscono di notte come nelle fiabe dei Grimm e la paura, palpabile, che accompagna il desiderio umano di piacere. Si potrebbe persino azzardare che il killer di questa pellicola sia una raffigurazione dell’AIDS e possiamo avvalerci, in questa lettura, pure di un finale ambiguo e non spiegato. Chi è che uccide il vicino di casa di Al Pacino? Lo stesso protagonista che, scoprendo il suo lato oscuro, prende i panni dello stesso “lupo cattivo” che ha arrestato o un altro killer che prosegue l’opera di punizione verso i gay? Sempre che, naturalmente, l’assassino sia quello che giace in un letto d’ospedale… Ecco allora che l’AIDS assume il ruolo della morte, un po’ come una sorta di versione dark e realistica di Final destination: è il compagno che ti porti a casa, l’occasionale amante che ti infetta e quindi ti condanna a morte, una creatura da uno e mille volti che potrebbe essere chiunque. D’altronde Friedkin è abile a non farci vedere il killer nella sua interezza e, man mano, che la vicenda prosegue ci si confonde sempre di più.

Cruising è anche un horror, con una scritta che, un decennio dopo, avrebbe figurato bene in Essi vivono: “Noi siamo ovunque”. In questa lettura, quasi alla Burroughs, Al Pacino si trova non solo ad infiltrarsi in un mondo a lui, etero e con compagna, assolutamente sconosciuto ma ad esserne pure coinvolto mentalmente. E’ la stessa regola che, da che mondo e mondo, muove i polizieschi più classici, del quale Cruising mantiene comunque lo scheletro narrativo: quando entri in una realtà non tua, che sia il mondo dei mafiosi o una banda di motociclisti, rischi sempre di metterci le radici e scoprire qualcosa di te che non sai. Ecco che Al Pacino si trova a cambiare la propria pelle, in una recitazione tra l’altro magistrale dell’attore, e a scoparsi la compagna con una rabbia inusuale, a soffrire nel momento che lei glielo succhia e a ripetere “Mi sto perdendo”, neanche fosse nel romanzo di Richard Matheson, “Io sono Hellen Driscoll”. Non solo: comincia a fare scenate di gelosia al ragazzo del vicino di casa (James Remar) e a ritrovare la sua giusta dimensione, la stessa che lo terrorizza, in una scena di ballo scatenato in un pub gay. Quando, poi, la polizia irrompe per salvargli la vita da un probabile assassino, lo trova nudo e legato, lì lì sul compiere il salto sessuale estremo.

La New York di Cruising è sporca e lurida, fotografata soprattutto di notte, e attraversata da figure che, anche nelle vesti di eroi, possiedono la stessa ambiguità dei cattivi.  Ottimo, in tal senso, l’esempio dei due poliziotti (uno di loro il grandissimo Joe Spinell di Maniac) che, all’inizio della pellicola, discutono di quanto il mondo faccia schifo, di come la città si sia riempita di derelitti, e poi si fanno “baciare il bastone” da un paio di travestiti pescati a battere. Neanche poi il capo della polizia, interpretato con nerbo da Paul Sorvino, risponde ai canoni classici del buono, costringendo Al Pacino a continuare la sua discesa nell’inferno e a non fermare un pestaggio ai danni di un innocente che si troverà costretto persino a menarselo davanti ad un gruppo di agenti omofobi. Non c’è spazio per le donne in questa pellicola e l’unico ruolo femminile è quello di Karen Allen che però non esita ad abbandonare il suo compagno nel momento che ha più bisogno di lei. Spetta comunque alla donna il momento più bello e toccante quando, sulle note di una dolcissima partitura di Jack Nitzsche, la si vede indossare gli stessi abiti sadomaso del compagno, annullando quindi nella sua carne da femmina le paure del maschio e assumendo un ruolo assoluto di compagna, amante e fantasia erotica. Non piacque all’epoca Cruising e il regista fu costretto a tagliarlo di quasi mezz’ora dei momenti palesemente pornografici, con sequenze di vero sesso non simulato davanti agli occhi di un Al Pacino spettatore. La comunità omosessuale fece fuoco e fiamme per boicottare il film trovandolo omofobo e non capendo che si trattava solo del ritratto di un sottobosco, vero e documentato, e non di tutta la comunità gay. Come a dire che a tutti gli eterosessuali piace leccare la fica. Falsità e luoghi comuni.

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Andrea Lanza


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