Quando al terzo panorama tutto quello che sono riuscita a fare è stato allungare un bacetto sulla guancia, ho visualizzato chiarissimamente che qualcosa in me seriamente non va.
La povera bella ragazza, da poco incuriosita [se non definitivamente illuminata] sulle sue preferenze, cos'altro doveva fare per farsi saltare addosso?
E soprattutto: cosa altro devo aspettare io?
I giri in macchina in costiera?
La passeggiata sui sentieri naturalistici?
Il tramonto sul lungomare?
L'uscita serale con tanto di passeggiatina in centro?
I letti attaccati, notte e risveglio da carini e coccolosi?
Niente, niente, da prendere a testare il muro.
Il cervello si stacca come il decoder che perde il segnale del digitale terrestre.
Prende coraggio, mi chiede come sto. Anzi. Come mi sento.
Perchè di colpo divento triste.
Non rispondo. Non per affascinare, non so proprio rispondere. Non so rispondere a domande che implichino me.
Nell'ultimo anno ho acquisito questa brillantissima capacità di tirar via le storie di tutti; magico il momento in cui ho saputo la storia di tutta la famiglia, trigenerazionale compreso, del tizio che a Taurasi friggeva le pizzette.
Tutto utile a riempire gli spazi, le storie altrui sono sempre affascinanti, soprattutto quando hanno il potere di riempire il vuoto di una storia, la tua, che non sai più come fare a raccontare.
La Pau chiusa nella sua stanza ormai da mesi e mesi non ha aiutato, gironzolare per questa casa in solitudine ha fatto scivolare dentro vecchie abitudini. Ha lasciato che si perdessero tutte le parole e che lentamente, per minuti e ore sempre più lunghe, la strategia del re matto riprendesse forma, come sempre.
Sono mesi che mi sveglio di colpo la notte, che mi sveglio al mattino con i muscoli della mascella doloranti, per essere stati serrati tutto il tempo.
Mentre su un blocco di cemento, in disparte, un po' abbracciate mi chiede per la terza volta - Ma tu che senti? - io sento i muscoli della bocca serrati come fosse notte, come se questa cementificazione prendesse il sopravvento sul controllo possibile del mio cervello.
Rido, cerco di ridere almeno, cambio argomento, mormoro un nonlosocomemisento; con gli occhi, almeno con quelli, vorrei che potesse leggere - abbi pazienza, non capisco nemmeno io -
Tra me e me, nei lunghi viaggi in macchina che seguono gli abbracci sempre più lunghi di fronte alla portiera della mia macchina, provo a rispondere a quella domanda. Provo a rispondere anche alla domanda all'origine: perchè, perchè questo bruxismo diurno?
Mi sento bene, è banale.
Che abbiamo la stessa testa è cosa nota da almeno 3 anni ai più, e per fortuna ho i testimoni che me l'hanno sentito dire e senza mai un secondo fine. Che avessi sempre coltivato un qualche sospetto sulla sua natura, anche quella è cosa nota a meno dei più, ma nota.
Che alla cena prima dell'estate ci fossero stati contatti che avevo trovato curiosi oltre modo, me l'ero tenuto per me, ma ci avevo pensato.
Che sia quello che è, che non debba stare lì a congetturare sulla fiducia, è scontato, fa parte della mia seconda famiglia. Che questa cosa non mi preoccupi mi sorprende, che non sia quasi mai un argomento di conversazione anche...
Mi sento bene, e rischia di diventare un pensiero che mi porto anche a casa.
E come potrei portarlo a casa? Come potrei attraversare la porta di casa con un sorriso a 32 denti, mentre il deodorante alla cannella nell'ingresso, dei giorni, copre a stento l'odore del lattice dei guanti, delle pomate lenitive alle erbe, della colla del nastro adesivo, e non c'è volume dello stereo capace di coprire il trascinarsi delle ciabatte di stanza in stanza?
I sistemi, poi, sentono i cambiamenti anche quando noi stessi ci sforziamo di non sentirli e si disinteressano sonoramente se tu non sai rispondere a una domanda banale.
I sistemi sentono e sanno pure quello che tu non sai.
Tornata di corsa sabato a pranzo, prima di scappare nel pomeriggio a lavoro, mia madre è più distrutta del solito. Sono gli ultimi giorni di terapia, il veleno, come lo chiama lei, è accumulato a piombo nel suo sangue. E come sempre quando le mancano le forze, si appoggia a me. Mi chiede di quegli abbracci che mi lasciano a pezzi e senza forze, mi chiede di quelle conferme che io non so dare nemmeno a me stessa, ma che magicamente mi invento per lei.
Vorrei pensare eccome alla bella ragazza che mi accarezza il viso, che mi tiene la fronte e mi dice voglio farti andare via i pensieri , ma come posso se d'improvviso mia madre mi accarezza con le mani totalmente stravolte dalle ferite e mi dice - senti com'è? -
Come posso allora risponderle - Mi sento bene - se poi di quel mi sento bene mi sentirei infinitamente in colpa?
Come posso risponderle - mi sento bene - senza poi spiegare che contemporaneamente mi sento a pezzi, che mi sento costantemente sull'orlo?
Sull'orlo, si, che qualsiasi ulteriore contraccolpo non so dove potrebbe portarmi, a star meglio, a star peggio, potrei mai gestire una cosa nuova adesso?
Mi dicono - Cristo baciala! Poi troverai altro su cui farti le paranoie! - [la mia seconda famiglia mi conosce bene ... ]
Mi dicono - scrivile - ma io non voglio scriverle, sarebbe solo un modo edulcorato di scappare.
Questo glielo scrivo, che non voglio scriverle, che voglio parlare. Che il mio impegno è nel ritrovare un modo di parlare e non restare completamente annichilita.
Mi dice di fare quello che sento. Ma che a guardarsi negli occhi è meglio...
Mi scatta la paranoia del treno che passa e di me che non so saltarci sopra. (Mi) razionalizzo dicendomi che non posso forzarmi solo per ragioni simili.
Magari, naturalmente, tutto ciò è un mio delirio e allora sarà tutto molto più divertente!
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