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Bufale accademiche ma pur sempre pubblicazioni accademiche

Creato il 21 ottobre 2013 da Molipier @pier78
Bufale accademiche ma pur sempre pubblicazioni accademiche Genny Sangiovanni Genny Sangiovanni vedi altri articoli 21 ottobre 2013 14:21

Una recente inchiesta di Science ha rivelato i meccanismi che fanno andare avanti le riviste accademico-scientifiche di libero accesso sul web. Le riviste open-access sono siti in cui le pubblicazioni scientifiche vengono rese disponibili quasi sempre gratuitamente agli utenti di internet. Il pubblico può essere più o meno specializzato e dunque potrebbe non accorgersi di eventuali carenze scientifiche della pubblicazione stessa.

Questo era l’obiettivo dell’inchiesta di Science che ha evidenziato come anche uno studio scientifico del tutto privo di fondamento possa essere pubblicato senza problemi in riviste che dovrebbero essere più rigorose.

John Bohannon, un collaboratore della rivista Science nonché biologo molecolare, ha finto di effettuare una ricerca mirata allo studio dell’effetto su cellule tumorali di alcune molecole estratte dai licheni. L’articolo è stato riempito di errori elementari riconoscibili da qualsiasi recensore con “non più di una conoscenza in chimica da scuola superiore e l’abilità di capire lo sviluppo dei dati”. Un articolo così difficilmente verrebbe approvato e pubblicato.

Invece, tra gennaio ed agosto, 157 riviste online su 304 hanno accettato di pubblicare la “ricerca”. Alcune riviste non hanno neanche richiesto di modificare qualche errore all’autore. Solamente 98 comitati scientifici hanno respinto la ricerca mentre 49 ancora devono rispondere alla richiesta di pubblicazione (di cui 20 hanno comunicato al giornalista di essere in fase di valutazione).

Bohannon ha realizzato versioni leggermente diverse dello stesso paper mantenendo gli stessi concetti, le conclusioni ed i dati. Il contenuto scientifico di ogni paper risultava identico. Ad esempio il documento conteneva due esperimenti di cui uno pieno di errori e l’altro (di approfondimento) privo di conclusioni.

Sotto falsa identità, l’autore, che si firmava con il nome di Ocorrafoo M.L. Cobange, un ipotetico ricercatore africano dell’altrettanto falso Wassee Institute of Medicine, ha inviato circa dieci proposte di pubblicazioni a settimana e, grazie a google traslate, è riuscito anche a scrivere un testo che sembrava non scritto da un madrelingua inglese. Ha fatto di tutto per essere smascherato e rifiutato fin da una prima rapida lettura del suo articolo.

European Journal of Chemistry e Journal of International Medical Research sono alcune delle riviste a cui sono state inviate le proposte. Riviste che sono considerate affidabili e legate spesso a colossi industriali come Elsevier (il maggiore editore mondiale in campo medico), Sage o Wolters Kluwer i cui comitati scientifici non sono chiari e le cui sedi misteriose risiedono in qualche paese del terzo mondo. Anche gli uffici sono difficilmente rintracciabili.

L’unico fattore che accomuna queste riviste è la tassa di pubblicazione. Se il comitato scientifico ritiene che una ricerca sia affidabile e ne delibera la pubblicazione, il ricercatore è tenuto a pagare una tassa (nel caso del giornalista variava tra i 150 ed i 3100 dollari).

Circa dieci anni fa la nascita delle open access aveva obiettivi diversi forse più idealistici, con il tempo si sono trasformate in un’industria globale sorretta, appunto, da queste tasse di pubblicazione.

Le riviste scientifiche tradizionali si affidano spesso ad inaccessibili abbonamenti ma sono spesso più affidabili. (Per gli studenti all’ascolto: molto probabilmente la vostra università paga tali abbonamenti e potete gratuitamente accedere a tutti i file dai computer della vostra facoltà!!).

Dal canto suo, David Ross, biologo dell’università di Pennsylvania ritiene che “se fossero finite nel mirino le classiche riviste in abbonamento si sarebbero ottenuti gli stessi risultati. Ma senz’altro l’open access ha moltiplicato questa sottoclasse di riviste e il numero delle ricerca che pubblicano”.

L’inchiesta ha rilevato che per il 60% dei paper sottoposti al giudizio delle riviste non risulta una revisione collettiva. La pubblicazione del paper denso di errori significa, infatti, che nessuno ha neanche letto il documento (per di più in parte senza conclusioni). Solo 36 comitati hanno criticato la sostanza scientifica del documento.

Dunque per le tesi di laurea forse è meglio controllare prima bene le fonti per evitare di perdere tempo nello studio di “bufale accademiche”.

Fonte: sciencemag.org

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Profilo di Genny Sangiovanni

Nata nel 1987 e ormai pronta a partire per qualsiasi viaggio e/o conquista anche solo metaforica. Laureata precaria, quindi alla moda! Mi muovo per capire dove andare.

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