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Ricordate quando sono stati ritrovati in Messico i corpi degli studenti rapiti in una fossa comune? E la notizia della donna che si è fatta impiantare il terzo seno? O la più recente notizia dell’abolizione del bollo per l’auto? Per non parlare delle arance infettate con Aids e quella della bambina malata ibernata in attesa di nuove cure? Beh, se ve le ricordate forse non sapete che tutte e tre queste notizie che sono circolate in rete tra lo scorso autunno e questa primavera hanno un unico comun denominatore: sono false.
Bufale, un tanto al chilo. È il prezzo del web. Se è vero che la rete consente a tutti di esprimere il proprio pensiero ad una sempre più ampia platea, è altrettanto vero che c’è un maggior rischio che notizie non verificate o certamente false passino da schermo a schermo e da tastiera a tastiera, diventando “vere”. Talvolta è colpa dell’ingenuità di chi scrivere, molto più spesso la creazione di bufale (e il loro effetto virale sui social network e sui giornali online) fruttano agli inventori e ai giornali che li riprendono svariate migliaia di euro di ritorno pubblicitario. E non mancano poi le bufale create ad arte come quelle prodotte da regimi autoritari. La Russia, per esempio, è uno dei paesi che maggiormente utilizza la propaganda via web per far passare una certa e predeterminata visione della situazione in Ucraina. Tra i fake più clamorosi quella foto satellitare che ritrarrebbe il volo civile abbattuto sui cieli ucraini da un Mig di Kiev. Peccato che la foto sia un clamoroso falso che ha girato sul web ad una velocità impressionante, diventando per molti, anche grazie alle cosiddette “pagine” di contro-informazione, “verità accertate” e “prove inconfutabili”.
Un libro per riflettere. Craig Silverman, giornalista canadese esperto di bufale sul web, ha scritto un interessante libro “Bugie, bugie virali e giornalismo” (tradotto in italiano e distribuito gratuitamente in ebook da il Post), un ottimo manuale per chi produce informazione ma importante compendio anche per chi sulla rete si informa, per conoscere i meccanismi che stanno dietro ad una bufala: propaganda politica, interessi pubblicitari o fake per colpire aziende concorrenti. Lo potete scaricare qui.
La rettifica, questa sconosciuta. Silverman spiega come i giornali online spesso non verificano notizie false e, anche quando la bufala è conclamata, raramente rettificano la notizia. Quasi mai vengono corretti i primi articoli, ma vengono – semmai – scritti dei nuovi per specificare meglio la notizia o per chiedere venia ai propri lettori. In questo modo, però, la bufala rimane online e continua a girare per mesi, se non – addirittura – per anni. Così, l’industria del falso si alimenta da sé: produce guadagni ai creatori del fake (o un ritorno non necessariamente economico) e ai giornali che l’hanno ripresa, e genera caos informativo sui social network dove è sempre più difficile distinguere le notizie vere da quelle false. E non aiuta nemmeno più autorevolezza della testata che la riporta. Anzi, una buona fascia degli utenti di internet è più propensa a credere ad un blog sconosciuto che ad un giornale storicamente affermato.
Razzisti, narcisi e Lercio. Il fenomeno è mondiale e non interessa solo l’Italia. Nel nostro Paese esistono siti di propaganda politica (soprattutto di estrema destra e filo-Putin) che pubblicano notizie false o inesatte soprattutto contro immigrati, politici e personaggi famosi. A farne le spese, proprio in questi giorni, è Gianni Morandi che aveva difeso i migranti e per questo “colpito” sul web con una foto bufale di una sua presunta villa (“Dove può ospitare gli immigrati”), che poi si è scoperto sia un ospizio. Ci sono poi i creatori di bufale che potremmo definire “narcisi”. È il caso di Ermes Maiolica, già scovato dalla trasmissione Le Iene qualche mese fa, che firma tutte le bufale che fa girare sul web. E non mancano nemmeno i siti satirici come l’oramai noto “Lercio”. In realtà, questo è un sito di satira che produce bufale per irridere il mondo dell’informazione. Il problema è che ci sono ancora giornali che prendono Lercio come fonte attendibile pur essendo chiaro l’intento provocatorio.
Fonte: Diritto di critica
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