E' successo a Kariakoo. Kariakoo è il quartiere-mercato di Dar Es Salaam, Tanzania.
È come “Porta Palazzo” di Torino, moltiplicata per cinque; oppure “Porta Portese” di Roma al triplo; o come il “Grande Bazaar” turco di Istanbul. Ma è tutto molto, molto più effervescente, colorato, caotico, come pure rischioso e (pardon!) meno pulito.
A Kariakoo c’è tutto: dall’ultimissimo modello “iPod” alla sempiterna pentola per la polenta.
Ed è proprio, dopo aver acquistato un pentolone, che incontro lui, mai visto né conosciuto prima. Mi chiede una benedizione speciale.
Incredibile, ma vero, nel cuore tumultuoso di Kariakoo.
Eccomi, dunque, con un ragazzo di 18 anni, slanciato, dallo sguardo timido ma intelligente.
- Padre, io sono Asante (grazie).
- Bravo, Asante! Io ti benedico nel nome…
“Nooo, padre - mi interrompe il ragazzo -. Non me. Benedici…”.
E il giovane solleva le mani con due penne biro. Poiché resto imbambolato con gli occhi stralunati, Asante si affretta a spiegare: “Per favore, padre, benedici queste penne. Domani ho l’esame di maturità e devo scrivere!”.
Incredibile, ma vero, nel marasma di Kariakoo, mentre uno spintone quasi mi travolge.
Sono ancora perplesso. Il pensiero insegue quella santa donna di mia madre, Emma, che ai suoi figli studenti non faceva sconti dicendo: “Io prego perché siate buoni, non per le vostre pagelle scolastiche”.
Risento pure padre Olindo Pasqualetti, esimio professore di latino, che affermava: “Ragazzi, alla vigilia degli esami, bisogna aver già studiato. Non basta più studiare! Oportet studuisse, non studere”...
- Asante, hai studiato per l’esame?
- Sì, padre, ho studiato.
- Allora non aver paura.
- Invece, padre, ho tanta paura, perché... non è possibile studiare bene in Tanzania!
Asante mi sta implorando quasi disperato, con due penne in mano. Prosegue con una punta di rabbia: “Come possiamo studiare in Tanzania, quando non abbiamo nulla? Non abbiamo libri. I professori scrivono qualcosa sulla lavagna, che noi copiamo su un quaderno, se l’abbiamo e se riusciamo a leggere quanto hanno scritto. Quando scriviamo, ci sgomitiamo in tre su un unico banchetto di 80 centimetri per 60, traballante e sgangherato. Parecchi sono in piedi, aspettando che i compagni dell’aula accanto escano, per correre e accaparrarsi uno sgabello. Terminata la lezione, usciamo e andiamo tutti a zonzo nella boscaglia, perché da mesi i cessi della scuola sono crollati... Padre, in questi giorni, per prepararmi all’esame, ho letto tutti gli appunti presi. Ma ci capisco pochissimo. Allora ho pensato di affidare queste penne a Dio onnipotente...”.
È la denuncia di uno studente che, alla vigilia dell’esame, non gli resta che aggrapparsi ad una benedizione speciale. Incredibile, ma vero.
Recita un proverbio swahili: l’istruzione è la luce che fuga le tenebre. Ma, in Tanzania, spesso è solo una lucciola che vaga nella notte. Intanto gli “arrivati”, dai politici agli avvocati, dai generali ai commercianti, sono affamati di potere e denaro, e l’agguantano in tutti i modi.
A prescindere dalle notevoli potenzialità agricole, il Tanzania è pure ricco d’oro, diamanti, uranio, ferro, gas naturale. Il prodotto interno lordo cresce ogni anno del 6 per cento. Scusate se è poco!
Ma come viene investita e distribuita la ricchezza?
Però il cellulare squilla anche nella savana più remota. È forse l’unica estesa... uguaglianza nel paese.
Generalmente chi abita in città (il 25 per cento) sta meglio di chi vive in campagna (75 per cento). Nelle zone rurali le abitazioni di fango sono ancora il 94 per cento, mentre il 96 per cento della popolazione è senza luce elettrica (cfr. The Citizen 10/11/2012). Nei centri urbani le possibilità di istruzioni sono maggiori rispetto ai villaggi. Però incontri tantissimi Asante.
E poi, anche se superassero l’esame, che cosa farebbero? Ma guai a mollare!
La dolce gazzella, che all’alba si stropiccia gli occhi sonnolenti con le zampe, sa che deve correre, correre più veloce del leone, altrimenti... Pure lui, re leone, deve correre più della gazzella, se non vuol morire di fame.
Ed io, in Tanzania, so che devo “arrancare” per scoprire ogni giorno un motivo plausibile per essere missionario. Quale? Anche questo: il tenace attaccamento alla vita della gente, a dispetto di tutto. Inoltre: un soffio di fraternità evangelica, convinto che nemmeno gli uragani più devastanti possono travolgere l’amore (cfr. Cantico 8, 7).
Tuttavia gli scandali incalzano. Di fronte ad essi, il lungimirante profeta Isaia si domandava: chi vince nella vita? Chi cammina nella giustizia e parla con lealtà, chi rifiuta il denaro sporco e i doni ricattatori, chi si tura occhi ed orecchie per non essere tentato da giochi di malaffare (cfr. Isaia 33,15). Incredibile, ma vero, persino 2.800 anni fa.
Otto secoli dopo, durante una notte turgida di stelle come nessuna altra, un angelo contesterà il grande Isaia cantando: “Uomini e donne del mondo, spalancate gli occhi e drizzate le orecchie, perché vi annuncio una gioia unica: oggi è nato per voi il Salvatore. È un bambino che piange in una greppia, avvolto in poveri panni (cfr. Luca 2, 10-13).
E questo, cari amici, è l’evento più incredibile di tutti. Soprattutto più vero.
Buon Natale, Gesù.
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p. Francesco Bernardi,
missionario della Consolata
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)