Il “da” del titolo è un complemento d’agente, non di stato in luogo. Infatti, io non mi trovo a New York mentre la Grande Mela quest’anno ha approvato il diritto al matrimonio per tutti con uno storico voto al Parlamento del suo Stato (33 a 29) che ha segnato, ancora una volta, la via.
Quattro decenni dopo la Rivolta di Stonewall, la capitale morale degli Stati Uniti d’America si pone ancora alla testa di un movimento per i diritti civili che si è messo in moto da queste parti e che, ultimamente, ha prodotto risultati concreti un po’ in tutto l’Occidente, a cominciare dal mio Canada, per poi estendersi all’Europa (quella vera, non quella di stampo mediorientale), al Sud America, alla Repubblica Sudafricana, all’Australia.
Obama, il primo presidente nero alla Casa Bianca, non aveva la possibilità di agire direttamente nelle scelte degli Stati su come regolano le licenze matrimoniali. Eppure ha fatto il possibile con le sue parole per creare il clima più favorevole possibile a che quegli eletti Repubblicani di buon senso potessero votare contro il proprio partito per sancire la fine di una discriminazione ridicola come già lo fu quella contro il matrimonio interrazziale. E allora ricordiamole le parole di Obama: “Siamo stati creati uguali. Ho sempre pensato, come mi hanno insegnato mia madre e i miei nonni, che la discriminazione fosse sbagliata. È così che la penso fin da piccolo. Ho sempre creduto che la discriminazione in base all’orientamento sessuale o all’identità sessuale sia una violazione dei principi su cui questa nazione è fondata. Le coppie gay devono avere gli stessi diritti di tutte le altre”.
A meno di cataclismi naturali o umani, il progresso sui diritti civili procede, lento ma inarrestabile. L’Italia, che ha una tradizione di conservatorismo idiota, seguirà il resto dell’Europa e dell’Occidente e del Secondo e Terzo mondo, con il suo abissale ritardo. Ricordatevi sempre che il divorzio fu approvato nel 1789 in Francia e nel 1974 in Italia, eppure ci diciamo “cugini” dello Stato transalpino. Qualcuno dà la colpa alla presenza della Chiesa cattolica a Roma: vero, hanno una responsabilità notevole. Ma il vero problema è la mentalità media dell’italiano medio – che sia uomo della strada o parlamentare non ha importanza – abituato a non far scelte o a farle seguendo il noto do ut des con la Chiesa. Eppure, fra 20 anni, o forse fra 50 anni, o forse fra 100 anni, anche il Parlamento di Roma capitolerà. Perché la forza del concetto di Obama, “siamo stati creati tutti uguali” davanti alla Legge, è troppo semplice da comprendere, è troppo difficile da arrestare.
Buon 28 giugno da New York, dunque.