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Buon compleanno, Sir Arthur!

Creato il 22 maggio 2013 da Unostudioingiallo @1StudioInGiallo
Centocinquantaquattro anni fa, fra le dolci colline della capitale scozzese, nasceva Sir Arthur Conan Doyle (Edimburgo, 22 maggio 1859 – Crowborough, 7 luglio 1930).
Abbiamo deciso di dedicare al "papà" di Sherlock Holmes e del dottor Watson l'intera giornata e cominciamo col riproporvi uno stralcio del nostro articolo dedicato al delicato, talvolta burrascoso rapporto che intercorre tra un autore e i suoi personaggi, con particolare riferimento ai personaggi seriali:
Buon compleanno, Sir Arthur!

Sir Arthur Conan Doyle, medico e giornalista scozzese appassionato di spiritismo, divenne un caso letterario quando pubblicò i primi racconti polizieschi incentrati sulla figura di Sherlock Holmes. Il “consulente investigativo” dal naso aquilino e le incredibili doti trasformiste venne accolto con un favore che rimarrà celebre nella storia della narrativa poliziesca e costrinse il povero Sir Arthur a vivere nel suo cono d’ombra: alzi la mano chi ricordava il nome del “papà” del formidabile detective residente al 221B di Baker Street! Di quest’ultimo esiste per contro una letteratura apocrifa pressoché sterminata, per non tacere del museo che ne raccoglie i leggendari cimeli. Lo stesso Conan Doyle dovette subodorare il pericolo visto e considerato che, dopo “soli” sei anni di proficua convivenza, decise di uccidere la gallina dalle uova d’oro. “Ho da conservare le energie per qualcosa di meglio”, si era sfogato in una lettera alla madre, “anche se questo significherà seppellire con lui il mio portafoglio”.

Detto, fatto: nel racconto intitolato L’ultima avventura, Holmes precipita dalle Alpi svizzere e muore avvinghiato al professor Moriarty, il suo più acerrimo nemico. “Ero fermamente deciso … di far sparire Holmes”, scrive Sir Arthur nella prefazione a Il Taccuino di Sherlock Holmes (1927), “poiché non era giusto incanalare tutte le mie energie in un’unica direzione. Quella figura pallida, dinoccolata, dai lineamenti precisi, stava appropriandosi di una parte troppo grande della mia fantasia creativa”. La reazione negativa del pubblico lo indusse a pubblicare lo splendido romanzo breve Il mastino dei Baskerville (1902), ambientato in un’epoca precedente alla morte di Sherlock Holmes; l’espediente letterario, tuttavia, non fece che accrescere l’insoddisfazione dei lettori più intransigenti. E dal momento che le cascate di Reichenbach non avevano restituito alcun cadavere e “nessun coroner aveva effettuato un’autopsia”, non fu tecnicamente difficile riportare in vita l’eroe in un racconto - L’avventura della casa vuota - che costituisce l’esempio più fulgido di resa dello scrittore di fronte alla potenza di un suo personaggio. 

Quanto debba essergli costato il clamoroso dietro-front in termini di pace interiore, possiamo soltanto immaginarlo. L’autobiografia di Sir Arthur Conan Doyle, coerentemente intitolata Ucciderò Sherlock Holmes, glissa sull’argomento e dedica poche pagine alla figura del detective: quasi a voler rimuovere un penoso ricordo. “Non me ne sono mai pentito” giurerà l’infelice autore, ma abbiamo un’infinità di buone ragioni per dubitarne... e la più significativa ce la serve lui stesso su un piatto d’argento:
Se Holmes non fosse mai esistito non avrei potuto far di più; forse, ha solo costituito un piccolo ostacolo al riconoscimento delle mie opere letterarie più serie.
Vi pare poco?

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