Caro Parolaio Pellegrino,
il tuo Cammino di Santiago procede senza sosta, tendinite a parte. Ogni volta che mi scrivi da un posto nuovo, sorrido. Il tuo percorso si snoda per strade e sentieri, tra montagne, prati e piccoli borghi.
Sai che con la mente viaggio di continuo, sai che ogni tua frase mi apre un mondo di immagini ideali ed irreali: hai raccontato di un melting pot di lingue, abitudini e storie.
Potrei descriverteli tutti, i tuoi compagni di viaggio. Le nazionalità le inventerò, perché andare a scavare tra le altre email alla ricerca dei tuoi accenni geografici prevede uno sforzo di volontà che, per pigrizia, non sono in grado di fare.
Ci sono due ragazze francesi, carine entrambe. Tutt'e due hanno i capelli castani, chiari, come gli occhi e la carnagione. Hanno le guance scottate dal sole, portano bermuda beige, canottiere chiare e due zaini che sembrano più grandi del loro esile corpicino. Una ha una macchina fotografica simile alla tua, ma non scatta mai lungo il cammino. Va avanti, in silenzio. Non parlano granché, le due francesine. Eppure sono amiche. Forse proprio perché lo sono davvero possono condividere giornate intere senza dirsi nulla.
Il tedesco di mezza età ha lasciato il lavoro, la moglie e l'amante per partire. Non ha avuto figli e comincia a pentirsene, ha fatto carriera e comincia a pentirsi anche di questo, non s'è mai innamorato e di questo non si pente. Questo proprio non se lo vuole perdonare. Così s'è messo in cammino. Ha una bandana in testa per coprire la pelle nuda: è completamente pelato. Indossa una camicia di lino chiaro e dei pantaloni larghi di cotone, rossi, ma di un rosso troppo vivo, che è quasi un pugno in un occhio. Sull'avambraccio sinistro ha un tatuaggio: il volto di Ernesto "Che" Guevara. Un santino portatile.
Quel banale trentacinquenne londinese non arriverà nemmeno a metà percorso. Appassionato dei libri di Paulo Coelho, ha chiesto al suo capo un anno di ferie arretrate, cioè poco più di un mese di vacanze. E lui gliele ha concesse, ché è un impiegato modello, un ottimo contabile. La sua fidanzata fa l'insegnante di letteratura e non gli ha fatto domande quando lui le ha comunicato di voler partire. Gli ha imposto solo una regola: tre telefonate al giorno. Una al mattino, dopo la colazione; una a metà pomeriggio, per raccontarle la giornata; l'ultima nel cuore della notte, perché ci sono voglie che la distanza acuisce e che una voce ed una mano qualche volta riescono a saziare.
La brutta donna spagnola non l'ho dimenticata. Non è granché d'aspetto, tutt'altro, ma la sera le sono tutti attorno, perché prende la sua chitarra e, nella sala comune dei ricoveri dei pellegrini, beve vino rosso, suona e canta. Le ultime due, contemporaneamente. Va lentissima, lei. Ha i piedi pieni di piaghe, le ginocchia doloranti e il sorriso sempre stampato in faccia. Fa la suora, ma non l'ha detto a nessuno, né qualcuno lo crederebbe, viste le occhiate clandestine che rivolge al tedesco e che, puntualmente, vengono ricambiate.
Di ottimo umore in ogni istante, e di molte parole. Forse troppe. Racconta la sua vita, un po' la inventa, ma nessuno mai le chiede di tacere, perché in mezzo a tutta quella solitudine e a quella riflessione ascoltare è bello, più bello del normale.
Non credere che nel mio fantasticare la tua figura non sia contemplata. Cappello a falde corte, un po' da pescatore, pantaloncini scuri, maglia marrone a maniche corte, zainaccio nero sulle spalle e la tua bambina, la tua Nikon, sempre in mano. Col coltellino che ti porti dietro in ogni occasione hai adattato un grosso ramo a bastone della vecchiaia e lo usi per sorreggerti e spingerti avanti quando pensi di essere troppo stanco per proseguire. Hai la barba lunghissima, che se ti vedesse Sorella direbbe che sembri ancora di più un barbone e che a me, al contrario, piacerebbe molto. Sei sempre sporco e sudato, ma non si nota la differenza con gli altri, quindi non stoni. Ogni tanto, prendi in mano la chitarra della suora spagnola e ti metti a suonare Fossati, o Capossela. Pure Finardi? No, Finardi no. Ma De André sicuro.
La sera, prima di andare a dormire, pensi a casa, a tuo fratello, alla tua migliore amica che sta a Roma e al tuo migliore amico che chissà se avrà trovato un'altra bella ragazza in partenza di cui invaghirsi senza impegno. Secondo me pensi anche ad altro, a quelle cose che ti hanno spinto ad andartene per questo lungo viaggio. Cerchi ancora una soluzione, una risposta che si nasconde e non si fa trovare. Poi, ti dici che la notte porterà consiglio, chiudi gli occhi e, pochi minuti dopo, già russi.
S'è fatto tardi, hai la sveglia all'alba. Chiedi alla suora di suonarti una ninnananna, in sei ottavi. Tutte le ninnananna sono in sei ottavi, ma tu sottolinealo lo stesso, abbozzando un sorriso e recuperando un arrugginito tono arrogante.
Dicevo, chiedi alla suora di suonarti una ninnananna e dormi bene.
Buonanotte.
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