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Burning bright (di Carlos Brooks, 2010)

Creato il 13 aprile 2012 da Iltondi @iltondi

Studentessa con borsa di studio, Kelly Taylor (Briana Evigan), avrebbe l’intenzione di piazzare il fratellino autistico in un istituto e di andarsene all’università, ma i suoi piani vengono stravolti dal patrigno bastardo (Garret Dillahunt), che ha bruciato tutti i soldi del conto per costruire un (redditizio?) Safari-Ranch accanto a casa. Ma questo è solo l’inizio: infatti è in arrivo un uragano. Come se non bastasse, i due fratelli si ritrovano chiusi in casa insieme a una tigre affamata. Burning bright (di Carlos Brooks, 2010)

Film furbetto, che sostituisce la tigre alla classica figura del serial killer e la fa scorrazzare dentro un appartamento in una notte buia e tempestosa, anzi con un bell’uragano a complicare il tutto. Riproposto lo scontro natura-uomo, introdotto però nel contesto claustrofobico di qualche interno anziché in grandi spazi aperti. Tutto qui. Se siete amanti del genere “animali feroci che sbranano gli esseri umani cogliendoli di sorpresa” potreste rimanere irrimediabilmente delusi. Potrebbero restarvi in bocca più gli ingredienti usati per arricchire la ricetta (la protagonista viene fatta girare per casa con striminziti shorts e a piedi nudi per buona parte del film, per esempio) piuttosto che l’effettivo sapore. Si respira un po’ di tensione per l’aggirarsi minaccioso della tigre, va bene, ma non c’è molto altro. L’autismo del ragazzino, che urla e si dimena se viene toccato, perde a tratti coerenza, e si rivela solo un escamotage per creare ulteriori impedimenti al raggiungimento dell’obiettivo (la fuga, naturalmente). Briana Evigan (nel film porta lo stesso nome della bionda di Beverly Hills 90210!) ha un che di sexy (saranno mica le gambe, inquadrate quasi più del viso?), ma la sua filmografia proprio non le sorride: Step Up 2, S. Darko, Patto di sangueMeat Loaf appare nelle primissime scene (l’impresario del circo che vende la tigre), recitando delle battute non certo indimenticabili. Il risultato complessivo viene peggiorato poi dalla svolta poco originale, banale, davvero telefonata (il movente del patrigno) e dal finale ancora più scontato. Il titolo allude alla poesia di William Blake “The Tyger”, citandone un verso. Non è che il grande poeta inglese si sta rigirando nella tomba?



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