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C come Consapevolezza

Creato il 16 gennaio 2013 da Eloisa @EloisaMassola
C come ConsapevolezzaDal dizionario etimologico
CONSAPEVOLE: derivato dal verbo "sapere", ovvero "che ha piena cognizione della cosa in corso".

«Un impiegatuccio in un ufficio postale è pari a un conquistatore, se la consapevolezza è comune ad entrambi», sosteneva Albert Camus - e questo già la dice lunga sull'importanza di una simile virtù nel corso del cammino esistenziale che ciascuno di noi è destinato a compiere.
In verità credo che, se nessuno di noi può dirsi a tutti gli effetti "arrivato", è pur vero che - in questi tempi di confusione e timore - molti (troppi!) a ben vedere non sono mai neppure partiti. Forse è proprio per questo motivo che vediamo, sentiamo e leggiamo quotidianamente l'espressione di stati d'animo negativi: dalla rabbia alla frustrazione, dal nervosismo alla più cupa disperazione. La consapevolezza è ciò che ci permette di "restare centrati" in e su noi stessi, rendendoci inaffondabili di fronte ai colpi più duri, alle alte maree più tormentose: se manca, ci sentiamo sprofondare, vediamo il nostro mondo e la nostra tranquillità sgretolarsi poco alla volta. A questo punto, non servirà a nulla ribadire (non di rado in malo modo e con parole sgradevoli) la nostra presunta forza interiore. Non è di forza che abbiamo bisogno per mantenere la giusta rotta, ma di una bussola funzionante!
Alcune persone, poi, confondono la consapevolezza con l'ipercriticità nei confronti di ciò che li circonda: in questo modo, l'imperfezione sarà sempre nell'occhio altrui, la colpa nelle azioni del vicino, dell'amico, del collega...
Al contrario la prima forma di consapevolezza è da coltivare dentro di noi e da rivolgere verso noi stessi. Dobbiamo innanzi tutto com-prendere le regioni (o dovrei dire rAgioni?) più profonde del nostro io, arrivare a patti con i nostri peggiori difetti, le nostre idiosincrasie, se vogliamo, infine, avere "piena cognizione della cosa in corso", ovvero la nostra esistenza.
Ci riflettevo proprio l'altro giorno, mentre parlavo al telefono con una cara amica e ho concluso (come ho già scribacchiato altrove!) che la perfezione non consiste nel non avere difetti; quanto, piuttosto, nel riuscire a convivere in modo utile e intelligente con quelli che abbiamo, riconoscendoli, controllandoli e accettandoli come parte integrante del nostro essere qui e ora.
Ciò che più conta è possedere una traettoria e ad essa restare fedeli. Se qualcosa non ci va a genio (e noi sappiamo bene per quali motivi... per quanti tentativi facciamo di ignorare la nostra vocina interiore!), non accettiamola. Se qualcuno ci infastidisce, allontaniamolo dalla nostra vita. Non è semplice (anzi, il più delle volte è davvero doloroso), ma è l'unico modo che abbiamo per evitare di trasformarci in esseri umani eternamente acidi, scontenti e malmostosi.
(Ah, la bellezza della lingua! Non esiste parola più efficace, per indicare il continuo e fastidioso ribollire di alcuni soggetti, dell'aggettivo "malmostoso"...!)
Tiriamo il fiato, prendiamoci una pausa da tutto e da tutti: nella maggior parte dei casi, non siamo perseguitati (dalle persone o dal destino) come crediamo.
Certo, occorre pazienza: non si può pretendere di ottenere risultati significativi da un giorno all'altro - poiché la consapevolezza è un'arte che richiede lentezza e cure giornaliere. Tuttavia, se avremo ben lavorato, alla fine avremo la soddisfazione di trovare numerose tracce di armonia e bellezza intorno a noi.
«E' importante assumere una visione ampia delle cose.
Nessuna grande impresa può essere compiuta in una notte o senza affrontare delle difficoltà.»

(D. Ikeda ~ Citazione tratta dal blog Lotus)

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