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C’è ancora molto da dire

Creato il 04 gennaio 2011 da Malvino

I. C’è ancora molto da dire sulle violenze ai danni dei cristiani copti di Alessandra d’Egitto, sull’Anschluß di tutte le comunità cristiane non cattoliche e delle Chiese particolari locali che Benedetto XVI ha più che implicitamente dichiarato in Medio Oriente nel farsene rappresentante sul piano diplomatico, sulle reazioni del grande imam di Al Azhar che ha accusato il Papa di subdola ingerenza e di doppiopesismo ipocrita. Ho già detto delle questioni sollevate da queste prese di posizioni nel contesto di quella escalation di violenza che sta rimodellando entità e forma della presenza cristiana in terra musulmana; qui aggiungo, se non l’ho già fatto, che questo Capodanno è probabilmente destinato ad essere considerato un punto di snodo nella storia ultramillenaria delle relazioni tra mondo islamico e mondo cristiano, più della storica visita di Giovanni Paolo II alla Moschea di Damasco, più della storica lectio di Benedetto XVI a Ratisbona. Non credo di esagerare e con questo post cercherò di spiegare perché, dicendo da subito che qui, ad Alessandria d’Egitto, più che a Damasco in senso positivo e a Ratisbona in senso negativo, sono venute in superficie le questioni di “teologia politica” che sono in discussione nel mondo cristiano e in quello islamico a cavallo dei due millenni: seppur rapidamente dovremo citare il Concilio Vaticano II, il I Incontro interreligioso di Assisi del 1986 e la Dominus Iesus del 2000, arrivando a Damasco (2001) e a Ratisbona (2006), per averne chiaro lo sviluppo. Mi limiterò alle questioni di “teologia politica” in campo cristiano, anzi cattolico, ma quelle in campo islamico non saranno del tutto trascurate. Prima però sarà il caso di chiarire cosa intendo per “teologia politica” e lo farò servendomi, come ho già fatto, dell’impostazione data da Merio Scattola in Teologia politica (il Mulino, 2007).“«Teologia politica» è un’espressione composta che può avere tre significati distinti, corrispondenti alle tre diverse relazioni possibili tra i due termini che la costituiscono. Se prevale in primo di essi, si genera una «politica della teologia» che rimane subordinata al dettame religioso e che, in determinati casi, aspira a realizzare una ierocrazia o una repubblica santa”.Fermiamoci un istante: una «politica della teologia» è presente nel mondo islamico, ma non è assente in quello cristiano, dove la politica risulta non di rado subordinata a quel Bene sul quale il magistero cattolico dichiara piena e totale competenza, fino al punto da pretendere di far coincidere il Bene col Vero, la Carità con la Giustizia, sugli assunti di un dettame religioso che oggi si appella alla ragione non potendo più contare sulla forza. [Il concetto di laicità non ha senso nel mondo islamico, perché la società non può che costruirsi sul Libro: è l’ermeneutica del Libro che plasma la società e il legislatore è servo di Dio, senza che vi sia possibilità di contraddizione sul piano politico (almeno in via teorica) con l’essere suddito del Califfo. La storia dell’occidente cristiano, invece, si è consumata in un affinamento della teocrazia in egemonia culturale, che con la caduta dei suoi bastioni temporali ha portato alla crisi della sovranità sociale di Cristo, prima, e alla messa in discussione dell’autorità magisteriale. Tutto questo è stato possibile perché il Dio dei cristiani si è incarnato e ha accettato di addossarsi gli effetti del peccato originario per esigere gratitudine fino alla morte e fin dentro l’altra vita: era quanto implicava l’impossibilità di una coincidenza tra civitas Dei e civitas hominis, perfettamente realizzata invece della società musulmana eretta sul dettato coranico. Ma riprendiamo Scattola.]“Se i due termini [«teologia» e «politica»] hanno forza uguale, avremo una riflessione sul nucleo teologico della politica e sul significato filosofico-politico, cioè ordinante, implicato in ogni teologia”. Una diversa riflessione sul nucleo teologico della politica è evidente tra cristianesimo e islam, tuttavia è altrettanto evidente che mai come dal Concilio Vaticano II in poi c’è stato il tentativo, soprattutto da parte cattolica, di una riflessione comune finalizzata ad un asse di convergenza in opposizione alla “deriva secolaristica” indotta dalla modernità (o in essa coincidente). Potremmo dire che non s’era mai vista tanta attenzione all’islam da parte della Chiesa di Roma, e tuttavia assai ambigua sul piano teologico e su quello politico, dalla preghiera comune allo stesso Dio (ad Assisi e a Damasco), fino alla ricerca del “trialogo” tra i monoteismi, alla riaffermazione che extra ecclesiam è possibile solo l’errore (con la Dominus Iesus), fino alla configurazione di una inevitabile scontro di civiltà causato dalla irriducibilità della violenza intrinseca al Corano (a Ratisbona).“Se infine – prosegue Scattola – predomina il secondo termine, viene prodotta una «teologia della politica», cioè una «teologia civile», alla quale si chiede di rafforzare il legame comunitario e l’ordinamento interno” (e io qui aggiungerei: anche di farsi ragione polemica offensivo-difensiva, con le reciproche accuse di usare Dio come strumento e fine di conquista: evangelizzazione e jihad, crociata e aspirazione al califfato mondiale, veluti si Deus daretur e Allah Akbar).“In via approssimativa – conclude Scattola – si può dire che ai tre tipi di teologia politica corrispondono tre differenti estensioni del suo concetto, che infatti può essere inteso in senso ampio, in senso proprio e in senso speciale”. E qui – anche qui in via approssimativa – li abbiamo rappresentati per il cristianesimo e per l’islam.Possiamo passare ad identificare “in senso proprio”, e per il solo campo cristiano, quel “nucleo teologico della politica” che porta il pensiero di Joseph Ratzinger a farsi causa di guai seri per mettere un freno all’indifferentismo sulla vera verità che sta soltanto nel Credo di Nicea. Dovremo parlare della Dominus Iesus.
II. Sfrondiamo, sfrondiamo quanto è possibile: “La missione universale della Chiesa nasce dal mandato di Gesù Cristo […] Al termine del secondo millennio cristiano, però, questa missione è ancora lontana dal suo compimento. È per questo più che mai attuale oggi il grido dell'apostolo Paolo sull'impegno missionario di ogni battezzato: «Non è infatti per me un vanto predicare il vangelo; è una necessità che mi si impone: guai a me se non predicassi il vangelo!» (1 Cor 9,16). Ciò spiega la particolare attenzione che il Magistero ha dedicato a motivare e a sostenere la missione evangelizzatrice della Chiesa, soprattutto in rapporto alle tradizioni religiose del mondo. […] La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini. […] La pratica del dialogo interreligioso non sostituisce, ma accompagna la «missio ad gentes»…”.Qui dobbiamo fermarci: come possono stare insieme, senza contraddizione, la missio ad gentes e il sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che in molti punti differiscono da quanto la Chiesa crede e propone? Come si conciliano il mandato proselitario fino in capo al mondo, dunque anche in partibus infidelium, con la tolleranza dell’errore nel quale si ostinano gli infideles? C’è un punto in cui deve necessariamente cadere una delle due cose: o l’impegno missionario di ogni battezzato, che l’infedele sente come crociata (e il cristiano non cattolico come campagna papista), o il rispetto dell’altrui errore, che il battezzato sente come tradimento del mandato.Ecco come è risolta la questione dalla Dominus Iesus: “Il perenne annuncio missionario della Chiesa viene oggi messo in pericolo da teorie di tipo relativistico, che intendono giustificare il pluralismo religioso […] [sulla base di] alcuni presupposti, di natura sia filosofica, sia teologica, che ostacolano l’intelligenza e l’accoglienza della verità rivelata. […] Per porre rimedio a questa mentalità relativistica, che si sta sempre più diffondendo, occorre ribadire anzitutto il carattere definitivo e completo della rivelazione di Gesù Cristo”. La questione è risolta col ribadire che “deve essere fermamente creduta la dottrina di fede […] refutando interpretazioni erronee e riduttive”. Ti rispetto, ma è fuori discussione che tu abbia torto e io ragione. Scusami, ma non posso lasciarti nell’errore, Gesù mi ha comandato di farti cambiare idea e battezzarti. Ripeti insieme a me: Gesù Cristo ha un significato e un valore per il genere umano e la sua storia, singolare e unico, a lui solo proprio, esclusivo, universale, assoluto”. E con ciò abbiamo chiarito fino a che punto sono nella possibilità di rispettarti.Potrebbe anche funzionare, tutt’è trovare in partibus infidelium degli infideles disposti a farti fare, tutt’è trovare musulmani che non siano saldi nella loro fede come tu lo sei nella tua e siano disposti a farti evangelizzare il loro pezzo di terra. Prova e metti in conto che il tuo “rispetto” per la loro fede possa non essere recepito come tale. Di poi, tenuto conto di quanto abbiamo detto sulla “teologia politica”, prova a spiegare bene a un musulmano che intendi per civitas Dei e per civitas hominis, e prova a convincerlo della bontà delle tue intenzioni prima di offrirgli il battesimo. Prendi la Dominus Iesus e leggigli lentamente, scandendo bene: “La missione della Chiesa è di annunciare il regno di Cristo e di Dio e di instaurarlo tra tutte le genti; di questo Regno essa costituisce sulla terra il germe e l’inizio. Da un lato, la Chiesa è sacramento, cioè segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell’unità del genere umano; essa è quindi segno e strumento del Regno: chiamata ad annunciarlo e ad instaurarlo”.C’è rischio di essere scambiato per un colonizzatore? Fagli capire che sei pronto al martirio. E metti in conto che anche loro non temano la morte. Buona evangelizzazione, ci risentiamo quando c’è da contare i morti.
[segue] 

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