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C’è divertimento nelle nicchie

Da Marcofre

Il vecchio sistema di scoperta e valorizzazione dei talenti è stato affiancato da qualcosa di differente. Internet, esatto, che nella musica, ma anche nell’editoria, è diventata la piattaforma che ha permesso a tante persone di provarci; altrimenti sarebbero rimaste nell’ombra.

Forse non hanno conseguito quello che di solito si desidera (il successo): è davvero un problema? Per le classifiche e soprattutto per quanti continuano ad avere cieca fiducia in esse, sì.

Per chi ha compreso questa novità, no.

Una parte del pubblico ha capito che c’è più divertimento, spessore, profondità nelle nicchie, che in quello che i grandi gruppi editoriali spediscono in giro, o in televisione. Resta “solo” da trovare la propria nicchia. Un lavoraccio certo, ma il mondo ormai è così. Prima c’era solo la piscina, e l’ingresso all’acqua era regolato in base a leggi e consuetudini tutt’altro che infallibili.

Adesso, proprio lì accanto, si è scoperto un oceano di acque meravigliose. Ha senso restare ancora a fare la fila per entrare in piscina? Certo, gli oceani sono insidiosi. Questo dicono in tanti. E la piscina poi è un ambiente regolato. Può darsi che sia vero, ma a parte che pure l’oceano ha le sue regole. Prova a barare, e ne riparliamo.

Ma davvero possiamo credere che le regole della piscina fossero infallibili? Che ci entrava era un campione destinato sempre alle Olimpiadi?

La scelta adesso è del singolo. Se restare in fila sperando che l’addetto alla piscina si decida a farlo entrare.

Oppure osare.

L’editore non è cattivo. Conosce bene il suo mestiere, però. E sa che esiste una cosa imprevedibile: il gusto del pubblico. Nessuno sa come intercettarlo, e per questo quando qualcuno ci riesce, gli altri seguono a ruota.

L’editore deve far quadrare i conti. Quindi “diversifica”: investe su quelli che garantiscono un ritorno, e questi gli permettono di scommettere sui cavalli che NON vincono. Per esempio Georges Simenon, i suoi gialli, permettevano alla casa editrice Gallimard di pubblicare autori che vendevano pochissimo.

Il meccanismo si è inceppato. Si era persuasi che gli autori che vendevano pochissimo ma erano di qualità, sarebbero riusciti ad arginare la cultura che esalta il gusto del pubblico. E col tempo, sarebbero addirittura passati al contrattacco.

Non è successo niente di questo, ma qualcosa è cambiato. La distribuzione ha alzato la testa, e ha iniziato a comandare. Ha voluto prima, e preteso poi, solo quello che poteva vendere e realizzare profitti velocemente. In libreria, cosa occupa le vetrine? Esatto, quello che vende.

È una faccenda governata dalla logistica, quell’attività di gestione e organizzazione che governa l’afflusso di materiali presso i fornitori, e da lì ai compratori (noi). È doloroso definire “materiali” i libri? Può darsi, ma per chi distribuisce non c’è alcuna differenza tra detersivi, pedane di forme di parmigiano, e libri.

E i libri dovrebbero ringraziare proprio le forme di formaggio: se in un ipermercato trovano ancora accoglienza, lo devono a loro, non certo alla propria forza.

A mio parere, non puoi combattere qualcosa facendoti assimilare. Se al contrario ne stai fuori, hai qualche cartuccia da sparare.


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