Mentre chiudevo la seconda raccolta di racconti, e intanto gettavo le basi per la terza, mi sono domandato quanto può essere rischioso mantenere come ambientazione, sempre lo stesso luogo. Non si rischia di asfissiare la scrittura?
Non è meglio fare entrare aria e luce?
Boh!
C’è vita oltre Ventimiglia?
Credo che sia un falso problema. Vero è che io non amo viaggiare; non sono mai stato al di là di Roma né ho mai varcato i confini del Paese. Ma l’ambientazione delle storie non rispetta certo la realtà. Qualcuno potrebbe osservare che viaggiare comunque apre la mente: sì, ma solo se io sono disposto ad aprirla. Altrimenti rimane chiusa.
E quindi posso restare a casa, eppure se ho una buona capacità di osservazione riuscirò comunque a ottenere delle buone storie. Perché chi scrive storie, non scrive certo guide turistiche. Quindi può anche permettersi di demolire la Torretta, e a quanti gli faranno notare che è sempre in piedi… Farà spallucce.
Avrò la mente chiusa perché non viaggio?
È un po’ come credere che se uno legge, allora è una persona dalla mente aperta. Suvvia; sappiamo tutti che non è così. Io posso garantire che le persone più stupide e ignoranti che mi è capitato di incontrare in vita mia, avevano una biblioteca fornitissima.
La cultura non è nei libri: è già in noi. È un’inclinazione: al rispetto, all’ascolto.
E poi io ho dei gusti macabri…