16 gennaio 2014 • Primo Piano, Vetrina Cinema, Videos •
commento di Maurizio ErmisinoSummary:
The Immigrant da noi viene distribuito con il furbo titolo C’era una volta a New York, che evoca immediatamente l’epica di Sergio Leone.
C’era una volta un festival. E c’era una volta un giovane regista. Il festival è quello di Venezia, e il giovane Autore era James Gray, che proprio al Lido, a 25 anni, nel lontano 1994 si rivelò al mondo con il suo Little Odessa, un noir semplice ed efficace che vinse il Leone d’Argento. Raccontava una storia di malavita, quella di un ragazzo affiliato alla mafia russa a New York. Gray è nato a New York, è cresciuto nel Queens. Ed è nipote di immigrati russi. Le sue origini russe e i problemi dell’integrazione e dell’immigrazione ritorneranno spesso nei suoi film come I padroni della notte, in cui i protagonisti sono ancora degli americani di origini russe.
Parla di immigrazione, stavolta in maniera diretta, anche il suo nuovo film, presentato all’ultimo Festival di Cannes, che in originale si chiama semplicemente The Immigrant e da noi viene distribuito con il furbo titolo C’era una volta a New York, che evoca immediatamente l’epica di Sergio Leone. Ma sin dalle prime immagini ci fa venire in mente le atmosfere de Il padrino – Parte II e Nuovomondo, e gli arrivi degli immigrati europei a Ellis Island. Siamo a New York nel 1921: Eva arriva in America dalla Polonia, dove ha lasciato la famiglia, per raggiungere una zia già di stanza a Brooklyn. Al suo arrivo viene separata dalla sorella ammalata di tubercolosi. E da quel momento farà di tutto per riunirsi a lei. In quella che è una storia di illusioni, speranze tradite, inganni, prostituzione, pianti e botte, entrano in gioco anche un impresario che si approfitta delle ragazze immigrate per impiegarle in spettacolini equivoci e poi nelle camere da letto, e il cugino illusionista di Eva.
Eva è una splendida Marion Cotillard, già Oscar per La vie en rose e ormai presenza stabile nel cinema americano. I suoi occhi feriti sono l’anima di un film lontano dai primi noir di James Gray, un mélo che punta a commuovere e tocca ancora i tasti classici del cinema del regista, l’integrazione e i rapporti familiari. Accanto a lei c’è ancora una volta l’immancabile Joaquin Phoenix, ormai attore feticcio di Gray, con il quale è giunto al quarto film consecutivo. Il suo sguardo oscuro e la sua aria repressa sono perfetti per rappresentare la storia di un uomo che inizia la sua storia come sfruttatore e finisce per diventare, forse, un salvatore.
C’era una volta un giovane regista che venne definito il “nuovo Scorsese” e che forse non ha mantenuto fin qui tutte le attese che erano state riposte su di lui. Dopo Little Odessa le cose non sono andate come ci si aspettava, e Gray ha dovuto aspettare sei anni per bissare la sua opera prima con The Yards, e altri sette per girare I padroni della notte (era il 2007), film di genere solido e potente che lo ha riportato nel giro che conta. James Gray non ama però le sfide facili, e ha cambiato più volte rotta. Prima con Two Lovers, in cui ha raccontato una storia d’amore ispirandosi a Dostoevskij, e ora con C’era una volta a New York, un film in costume. Probabilmente essere il nuovo Scorsese non gli interessa. Gli basta essere James Gray.
di Maurizio Ermisino per Oggialcinema.net
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