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C’era una volta il grande cinema italiano #6 – Ladri di biciclette.

Creato il 03 luglio 2011 da Fabry2010

C’era una volta il grande cinema italiano #6 – Ladri di biciclette.C’era una volta il grande cinema italiano #6 – Ladri di biciclette.
Nell’estate del ’45 esplode la pace, le città sono distrutte, le scuole e le caserme scoppiano di sfollati, per la strada c’è la borsa nera, sui muri delle stazioni sono affissi manifesti con le fotografie di soldati che non torneranno, eppure arriva una frenesia di divertimento, di feste e balli senza respiro, tanto che alcuni giornali la chiamano “la pace con il caschè”. Nelle città lentamente ritorna la normalità. Sui muri di Roma compare questa scritta: “Gli aiuti d’America ci aiutano ad aiutarci da noi.” Vengono abolite le misure di oscuramento, ricompaiono le automobili e soprattutto circolano migliaia di biciclette, che popolano sterminati parcheggi e spesso cadono preda dei ladri. E chissà che De Sica non abbia assitito a qualcuno degli inseguimenti che ispireranno Ladri di biciclette.
La storia di questo capolavoro uscito nel ’48 è stata definita come la storia di un tentativo mancato di ascesa sociale.
Il film ha una trama apparentemente esile. Si sviluppa nel corso di tre giorni di cui la domenica, con la ricerca della bicicletta rubata, è quello che occupa maggior parte dell’opera, e dove il microcosmo del furto della bicicletta diviene macrocosmo con le sofferenze di pochi che svelano quelle di tanti.
La bicicletta apparentemente è solo un oggetto come tanti, invece può garantire il sospirato posto di lavoro al disoccupato di lunga durata, come il protagonista Antonio, ma è anche il simbolo di una rivincita sul mondo di quelli che devono prendere l’autobus, è un modo per uscire dall’anonimato ed affermare la propria individualità.
C’era una volta il grande cinema italiano #6 – Ladri di biciclette.Grande intuito di De Sica anche nella scelta dei protagonisti. Antonio Ricci è impersonato da Lamberto Maggiorani, un operaio della Breda, e Bruno è interpretato da Enzo Stajola, un bambino venuto ad assistere le riprese.
Il film è giocato sull’attesa, sull’apertura di tante porte che mostrano altrettanta miseria e disperazione, è il reale che entra con forza nella finzione. L’uomo ed il bambino vagano per Roma nella speranza del ritrovamento della bicicletta, ma non è data allo spettatore un’immagine turistica della capitale: si tratta di spazi sempre immersi in un’atmosfera magmatica che li getta nell’anonimato. Anche quando, come a Piazza Vittorio, a Porta Portese o al Foro Italico, riconosciamo alcuni caratteristici scorci capitolini, sono sempre visti di sfuggita, negati ad un riconoscimento forte, che li identifichi come elemento di connotazione del racconto.
C’era una volta il grande cinema italiano #6 – Ladri di biciclette.La centralità del film non è la ricerca della bicicletta, ma un’indagine sui rapporti che legano padre e figlio, giocata essenzialmente sugli sguardi: quello di Bruno verso il padre in cerca di qualche certezza, e quello sfuggente di Antonio, incapace di dare risposte e perso nel vuoto.
Il viaggio attraverso le strade di Roma, diviene un viaggio in cui Bruno, a sei anni, comincia e termina la sua educazione sentimentale, è quindi un altro bildungsroman film come I bambini ci guardano; e forse non è un caso che Pricò e Bruno, abbiano circa la stessa età. Si tratta di un passaggio forzato che porta i bambini a separarsi rapidamente e dolorosamente dalla condizione infantile.
Il regista conduce l’opera incentrandola sullo “sguardo di fiducia” (così era indicato nella sceneggiatura di Zavattini) del bambino verso il padre, per questo padre che è oggetto di ammirazione del piccolo solo perchè è tale.
Spesso la macchina da presa è ad altezza bambino. L’eroe, se dobbiamo trovarne uno, è proprio il bambino.
Il piccolo Stajola è capace, in ogni circostanza, di comunicare le sue sensazioni, che nel corso dell’opera sono molte e spesso contrastanti. È affettuoso con la sorellina di pochi mesi; già ometto, in tuta da lavoro; solidale, coi sensi di colpa del padre; orgoglioso, della responsabilità affidatagli durante la ricerca della bicicletta; vulnerabile, agli adescamenti del pederasta; resistente, sotto la pioggia battente;reattivo, se qualcuno gli pesta i piedi; implacabile, nel far notare gli errori al genitore; imbarazzato, davanti all’ingresso in un postribolo; impaurito, quando chiama la guardia nel rione dei ladri; disperato, di fronte a chi vuol fare arrestare suo padre. Fa sempre da “controscena” ad Antonio, non uscendo mai di ruolo.
Il regista conduce l’opera incentrandola sullo “sguardo di fiducia” (così era indicato nella sceneggiatura di Zavattini) del bambino verso il padre, per questo padre che è oggetto di ammirazione del piccolo solo perchè è tale.
Spesso la macchina da presa è ad altezza bambino. L’eroe, se dobbiamo trovarne uno, è proprio il bambino.

Il piccolo Stajola è capace, in ogni circostanza, di comunicarti le sue sensazioni (che nel corso dell’opera sono molte e spesso contrastanti), i suoi diversi stati d’animo. È affettuoso con la sorellina di pochi mesi; già ometto, in tuta da lavoro; solidale, coi sensi di colpa del padre; orgoglioso, della responsabilità affidatagli durante la ricerca; vulnerabile, agli adescamenti del pederasta; resistente, sotto la pioggia battente;reattivo, se qualcuno gli pesta i piedi; implacabile, nel far notare gli errori al genitore; imbarazzato, davanti all’ingresso in un postribolo; impaurito, quando chiama la guardia nel rione dei ladri; disperato, di fronte a chi vuol fare arrestare suo padre. Fa sempre da “controscena” ad Antonio, non uscendo mai di ruolo.

C’era una volta il grande cinema italiano #6 – Ladri di biciclette.
Il bambino vive una sofferenza differita, il suo dolore è vedere la disperazione sul volto del genitore. Lo guarda sempre in modo interrogativo come volesse chiedergli come sta, come si sente, cosa può fare per aiutarlo.
Il rapporto padre-figlio è invertito, il padre si porta dietro il figlio, non lo aspetta, non si accorge di quando cade, lo abbandona nella folla del mercato.
Quando il padre decide di rubare la bicicletta cerca di allontanare il figlio, ma il bambino lo segue e diviene testimone silenzioso del crollo del ruolo genitoriale.
Insomma, nel corso del film il ruolo paterno viene scalzato ed il figlio assume la parte dell’angelo salvifico. Sarà ancora il bambino a soccorrerlo, questa volta evitandogli la prigione, muovendo a compassione l’uomo che lo vuole denunciare.
E’ in questo passaggio di Bruno uno dei momenti più grandi del film. Ormai è “grande”, non guarda più il padre con attesa e fiducia, ma lo prende per mano, salvandolo dalla fine.
All’uomo non rimane neanche più la dignità di padre e comincia a piangere, ma il bambino lo ama, forse ancora di più, per la figura non di eroe ma solo di uomo.



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