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C’era una volta il grande cinema italiano #7 – Prima comunione.

Creato il 17 luglio 2011 da Fabry2010

C’era una volta il grande cinema italiano #7 – Prima comunione.Nel 1950 Alessandro Blasetti gira Prima Comunione, satira delle abitudini e dei riti della piccola borghesia italiana, che segna un nuovo incontro con Zavattini e anticipa le tematiche della commedia all’italiana. Connubio fortunato, dato che la pellicola valse al regista l’onore del Nastro d’argento e del Leone d’oro.
Blasetti e Zavattini ricostruiscono uno spaccato della piccola borghesia romana, tra lo scherzo e la favola, evitando fratture di gusto.
C’era una volta il grande cinema italiano #7 – Prima comunione.Blasetti opera una cesura netta con i film neorealisti, utilizzando, in quest’opera, unicamente attori professionisti, con un intento dichiarato in un’intervista in «Film», n. 31-32, 16 agosto 1950:

“[…] Posso dirti invece che con Prima comunione ho voluto anche, disponendo di un racconto e di un ambiente particolarmente adatti alla scelta di attori non professionisti, affidare invece esclusivamente ad attori professionisti anche il più piccolo dei ruoli del film: sono dell’idea infatti che ormai il ricorso alla spontaneità ed alla credibilità dell’uomo della strada – sistema del quale mi sento in parte responsabile e non senza fierezza – abbia esaurito il suo ciclo utile (che era quello di dichiarare morto un antico sistema di recitazione) e superato il suo clima documentario più opportuno…”

Prima comunione è un film che esce dagli schemi del neorealismo rosa. Spesso è stato paragonato, per il ritmo sostenuto delle gag, a Il Milione (1931 di René Clair).
Il tema del film è palesato dai primissimi fotogrammi con l’immagine di un uovo di Pasqua decorato e la voce dei bambini che cantano in sottofondo.
Un giovane Alberto Sordi, si presta come voce narrante extra diegetica introducendo con ironia gli attori del film: “ noi siamo tutti buoni, l’autore, il regista, il pubblico e Carloni”.
E’ una voce che è anche coscienza del borghese commendator Carlo Carloni (interpretato da un superlativo Aldo Fabrizi, che porta i baffetti con lo stesso taglio di quelli del regista).
E’ il giorno di Pasqua e la figlia di Carloni, benestante proprietario di una pasticceria a Roma, deve fare la prima comunione. Annetta è una bambina viziata, amata dal padre che le compra tutto quello che desidera.
Manca un’ora e mezza alla cerimonia e la sarta non ha ancora consegnato il vestito. Il commendatore decide di andarlo a prendere e da qui il film ha inizio in un crescendo di ritmo, perché il pacco con l’abito viene perso e la chiesa attende.
Il padre, disperato, cerca di trovare delle soluzioni estrose, tra cui quella di comprare l’abito della figlia del vicino di casa.
Vi è una netta dicotomia tra la famiglia Carloni, ricca, circondata da personale di servizio, che vive nella menzogna e nell’ipocrisia piccolo borghese fatta di apparenze e l’umile famiglia dello spazzino.
In questo spazio, che si affaccia sulle case aperte abitate da gente benestante, unico neo è la famiglia del netturbino. Nel palazzo è l’unica famiglia povera, che ha occupato la casa durante la guerra “ma ormai la guerra è finita da un pezzo e se ne andranno presto”.
Il regista, nel rappresentarla, ci restituisce uno scorcio ben diverso da quello della famiglia Carloni. La macchina da presa entra in un loro momento di intimità e lo registra come fossero “immagini rubate”.
Adele è una bimba povera ma felice, la scorgiamo, innocente e sorridente sul balcone con il suo vestito “da prima comunione” . Mentre il padre si fa la barba in secondo piano, la mamma finisce di stirare il velo e lo appoggia sulla testa della bimba, che si lancia in una piroetta davanti al papà.
La loro serenità viene minacciata dalla richiesta assurda del Carloni che, avendo perso il pacco con l’abito della bambina, decide di comprare quello di Adele. Allo spazzino, in cambio, vengono offerte: ventimila lire, una giacca, un paio di scarpe, un uovo di cioccolata ed un altro anno di affitto.
Non importa se la piccola rimarrà a casa in quello che per una bimba, vestita da piccola sposa di Gesù, è un giorno indimenticabile. Al commendatore interessa solo che Annetta non pianga e che la gente invitata alla festa partecipi della sua magnificenza.
Lo spazzino è tormentato, ma dinanzi alla prospettiva di un altro anno di affitto cede. Adele piange mentre la madre le toglie il vestito.
Ma i soldi non possono comprare tutto, ed il cinico Carloni, esterrefatto, lo scopre presto: Adele terrà l’abito che le ha cucito con amore la mamma e farà la prima comunione: il padre ha ceduto davanti al suo pianto e si è ripreso la sua dignità.

C’era una volta il grande cinema italiano #7 – Prima comunione.
Gli eventi remano contro la volontà del Carloni e poi si piegano alla casualità di un lieto fine imposto dal genere. Naturalmente costituito dal ritrovamento del pacco contenente il vestito.
Emerge un ritratto feroce dei genitori di Annetta, in una sequenza base del film che sembra esplodere, con un’ incalzante corsa, proprio nel momento in cui tutti si fermano.
Il film va avanti con tale rapidità che quasi non ci rendiamo conto di quanto sia ignobile questo Carloni che trasforma la figlia in oggetto, strumentalizzando a proprio vantaggio tutta una serie di situazioni.
E’ chiaro che una delle cose migliori del film è l’interpretazione ancora una volta straordinaria di Aldo Fabrizi, nel rappresentare questa figura di un pessimo padre e marito quantomeno distratto. Una battuta su tutte, rivolta alla moglie: Cosa credi che io pretenda da te? L’amore? E nel suo voler accontentare la figlia vi è solo la volontà di rispondere a determinati requisiti che il suo status gli impone.
La bambina fa parte di un corredo di cose possedute dal padre, utili a generare invidia nel prossimo, esattamente come la macchina ultimo modello che tutti devono vedere, il rinfresco, le scarpe nuove (che però fanno rumore), l’uovo di Pasqua più grande da regalare alla bella vicina di casa.



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