Un problema che “attraversa le diverse condizioni sociali e biografiche: uomini e donne, giovani istruiti e operai anziani, quadri ben retribuiti e lavoratori manuali, italiani e immigrati”: è la disoccupazione, tema affrontato nel libro “Perdere e ritrovare il lavoro”, a cura di Maurizio Ambrosini, Diego Coletto e Simona Guglielmi.
Il volume presenta “i risultati della prima indagine approfondita realizzata in Italia sull’esperienza della disoccupazione in età adulta”. La ricerca, svolta da un gruppo del dipartimento di Scienze sociali e politiche dell’università di Milano, analizza diversi temi: “le visioni della disoccupazione, delle sue cause e della possibilità di uscirne; gli effetti sulla vita familiare, la ristrutturazione dei consumi e le difficoltà nella gestione delle spese domestiche; i differenti livelli e percorsi di attivazione, i canali utilizzati e il successo nel ritrovare il lavoro; il vissuto di disoccupati appartenenti a gruppi socialmente fragili”.
Dello stesso argomento, sebbeno con taglio differente, si occupa “E lo chiamano lavoro…”, di Carla Ponterio e Rita Sanlorenzo. In esso si parte da alcune considerazioni sull’“età di Marchionne” che, “oltre alla contrazione del numero di auto prodotte e alla fuga della Fiat dall’Italia, ha un marchio di fabbrica univoco”: i dati negativi sul lavoro che “non c’è, e quando c’è, è sottopagato, precario, privo di diritti e di garanzie”.
Il numero dei disoccupati, nonostante il moltiplicarsi di modelli contrattuali – che offrono sempre meno garanzie – e “gli ottimistici annunci di ripresa di un premier specializzato in promesse”, non tende a diminuire, anzi. Situazione causata da ragioni non solo economiche ma anche politiche e culturali.
D’altra parte le vicissitudini del diritto al lavoro, dallo Statuto del 1970 al jobs act, sono eloquenti: “In poco più di qurant’anni è cambiato tutto e lo Statuto sembra, oggi, un guscio vuoto: il dilagare del mito della flessibilità, dipinto come risorsa per distribuire meglio tempi di vita e risorse economiche, non ha favorito lo sviluppo dell’occupazione, ma ha determinato impoverimento e insicurezza”.
Non potendo tornare indietro, sorge quindi il problema del che fare: le autrici rilanciano alcune proposte di politica del diritto – una rifondazione costituzionale europea – e insistono sulla promozione dei beni comuni, tra cui occupa un posto fondamentale il mezzo di produzione inalienabile della conoscenza, oggi più che mai considerato la chiave di svolta per una nuova politica di sviluppo.
MC