di Giacomo Pagone
Stupido gatto. Così dispettoso e arrogante. E’ colpa di quella bestiaccia se i suoi gerani sono andati distrutti. Quel diabolico felino salta da un cornicione all’altro, quasi non sapesse di avere un baratro di una decina di metri sotto le zampe. Poi pian piano cammina sopra gli altri tetti fino ad arrivare sul suo terrazzo. Probabilmente lo considera il suo parco giochi, perché corre da una parte all’atra, salta sulle sedie e sul tavolo prima di camminare lentamente sul cornicione, ignaro dei vasi di fiori che inevitabilmente, al contatto con le sue pelose zampine, finiscono giù in strada.
Anche oggi la manovra è la stessa, dal cornicione in basso salta sul loggione che unisce i due palazzi, creando un ponte su quella tranquilla strada interna della periferia residenziale di Parigi. Lentamente raggiunge l’altro lato della passerella e si arrampica fino al terrazzo. Ah ma oggi no, non riuscirà nel suo intento!
Lui spegne la sigaretta con la suola della pantofola, poi si dirige verso la porta del salotto che si affaccia su quel meraviglioso terrazzino. Lei è sotto la doccia. Bene, non deve accorgersi di nulla. Da quando lui ha preso quell’anno sabatico dal lavoro e ha deciso di passarlo in Francia, per rilassarsi e scrivere il romanzo della sua vita, Paola non fa altro che evitargli situazioni di stress. La bibita, il giornale, le continue attenzioni e i vasi di gerani fanno tutti parte del suo malefico piano. Ma a lui quella vita non piace, lui è un paranoico, un animale metropolitano, lui vive nel traffico, lotta per il parcheggio. Odia la noiosa tranquillità di quella zona periferica, gli uccellini che al mattino cantano nel parco vicino a casa e l’andare in giro in bicicletta. Così, per tornare almeno un po’ a vivere la sua quotidianità, ha dovuto crearsi una nemesi, qualcuno contro cui ordire piani diabolici ed evadere dal mortorio circostante. Ha provato dapprima col postino, poi con il lattaio, quindi con il barbiere, ma nessuno di questi era riuscito a solleticare la sua vena sadica. Quando ormai aveva perso ogni speranza, ecco spuntare sul terrazzo di fronte quell’arrogante felino dal lungo pelo bianco. Il micio, del resto, aveva avuto l’ardire di aprire le ostilità spingendo in strada quel vaso di gerani, fiore che, in cuor suo, lui aveva sempre detestato, ma si sa, la guerra è la guerra!
La terapia non funziona come dovrebbe. Ogni settimana si fa un giro nella Chinatown parigina e si infila in una fumeria d’oppio. Da quando ha scoperto questo segreto ed inebriante piacere non può farne a meno, è diventata la sua medicina. Quando esce da quell’elegante palazzo, si sente rigenerato. Tuttavia la sola vista del suo acerrimo nemico gli riacutizza i sensi, facendogli dimenticare quella pace interiore.
Ritorna vicino al davanzale per seguire gli ovattati movimenti della palla di pelo. Sta trotterellando sul ponticello. Giù, in strada, la gente continua la propria vita, ignara della guerra fredda che ogni pomeriggio, alle sei e mezzo, si combatte sui balconi. Le biciclette sfrecciano sul basolato, i bar sono inondati dal chiacchiericcio di studenti e impiegati che sorseggiano l’aperitivo del dopolavoro. Ma questo a lui non importa. Si tratta di un altro mondo.
Velocemente corre a nascondersi dietro il tavolo di legno posto sotto il grande gazebo bianco. Da qui avrà un’ottima visuale. Il batuffolo di peli posa le zampe sul suolo nemico. Ci siamo, la guerra ha inizio. Zompetta in giro per il terrazzo, si avvicina alla poltrona di legno con i comodi cuscini bianchi, affonda i propri artigli nello scheletro ligneo e inizia a farsi le unghie. Ecco la prima vittima! Non contento, si arrampica sul morbido cuscino bianco, marchiandolo con le impronte delle sue zampe. Lui si morde il labbro inferiore nel vedere lo scempio causato dal quel mefistofele con i baffi. Deve essere paziente. La vendetta è un piatto che va gustato freddo.
Il gatto salta sul tavolo, rovesciando la bottiglia d’acqua sui giornali, quindi lancia un miagolio di scherno, come a dire “Qui comando io!”, povero illuso. Ad un certo punto si sente la voce di Paola, che annuncia di stare uscendo, cui segue il rumore della porta che viene chiusa.
Sono soli. Il felino si trascina pesantemente per tutto il terrazzo, ostentando la propria superiorità. D’un tratto balza sopra alla balconata dove ci sono i gerani. E’ il momento di prepararsi.
Lui scivola quatto quatto tra le sedie e si accuccia ai piedi del muro su cui il suo antagonista si sta leccando la zampa e lavando il musetto. La palla di pelo riprende il suo moto dispettoso e si avvicina crudele verso il primo vaso. Improvvisamente scarta di lato, concedendo la grazia alla prima piantina. Punta dritto verso l’ultima, ha scelto la sua preda. Bisogna agire.
Lui salta fuori dal suo nascondiglio urlando come un matto e si lancia contro la bestiola. Il felino, preso alla sprovvista e spaventato dall’urlo animalesco, scappa via velocemente. Ma il tutto si svolge in una frazione di secondo. Lui, nello slancio, ha le braccia protese per cercare di acciuffare il perfido quadrupede, ma questi, dotato per natura di un’agilità e una prontezza di riflessi unica, evita la presa dell’infuriato Homo sapiens sapiens, il quale, con i propri arti, urta il vaso di gerani.
Lui non sente più nulla. Non un rumore, né il miagolio spaventato del gatto. Il mondo è una realtà che in quell’attimo non gli appartiene. Lui vive quell’interminabile secondo nell’oscillare pericoloso del vaso. E’ tutta una questione di equilibrio. Il vaso continua a dondolare e alla fine, raggiunto il bordo del balcone, cade giù in strada senza che lui possa fare nulla per evitarlo.
La prima cosa che sente è il rumore di qualcosa che si frantuma. Successivamente è l’antifurto di una macchina a suggerirgli che il vaso abbia finito il suo folle volo sfondando il parabrezza di un’auto parcheggiata lì sotto.
Improvvisamente il mondo torna ad essere vivo. Le sue orecchie vengono colpite dall’insistente antifurto. Il sangue inizia a pulsare sulle tempie. Si affaccia e incontra le occhiate inebetite della piccola folla che si è radunata lì attorno e che ancora non si capacita dell’accaduto. Poi cerca con lo sguardo il suo maligno avversario. E’ ritornato sul suo balcone e seraficamente si sta leccando la zampa. Bravo, gioisci di questa vittoria, ma ricorda che hai vinto solo una battaglia. Ci vediamo di nuovo domani, alle sei e mezzo, io sarò sempre qui ad aspettarti.
Dopotutto, c’est la guerre!
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