Anna Lombroso per il Simplicissimus
Nel giorno della commemorazione funebre del lavoro, sbrigativamente officiata a margine della sagra paesana, a un giorno dalla rivelazione delle sviste della Fornero, liquidate come l’innocente e involontaria distrazione di una che aveva troppe faccende da sbrigare per badare a tutto, si celebra l’ideologia aberrante che ne ha animato l’azione e che ha raggiunto il suo acme nella riforma del governo Renzi.
E infatti mentre si celebrava il primo maggio della mangiatoia globale imbandita grazie a iniquità, disuguaglianza, corruzione, incompetenza e indifferenza, mentre scorrevano sui teleschermi le immagini oltraggiose della passerella dei notabili e della comparsata di alcuni figuranti in veste di volontari e lavoratori, dando particolare rilievo al capo cantiere ultrasettantenne, ancora all’opera grazie c’è da immaginare alla ministra delle lacrime e sangue, non si è persa l’occasione per far piovere reprimende e rimbrotti, ripresi e amplificati dall’ordinario giornalismo all’italiana con contorno di aria fritta di opinionisti ben pasciuti da brillanti carriere, garanzie e sicurezza economica, sulla folta schiera di choosy, di sfaticati, di bamboccioni, secondo il vocabolario bocconiano, che hanno rifiutato la formidabile occasione offerta loro dall’Expo, di una esperienza formativa nel settore del no profit a beneficio di norcini fornitori della real casa, di speculatori beneficati dalla più futile delle opere, per sua natura e vocazione effimera oltre che pesante e distruttiva, di politici e amministratori in cerca di popolarità tramite grandi eventi.
A fronte di 16 mila volontari (così recitava il TG) che in tempi meno affetti da pudico eufemismo, avremmo chiamato crumiri, pare ci siano oltre 900 posti di lavoro scoperti, quelli dei bandi disertati da giovani schizzinosi, da ragazze e ragazzi indolenti, iperprotetti da famiglie arcaiche, da studenti sordi alle sollecitazioni del Ministro Poletti. Renitenti alla chiamata alla leva di chi tramite leggi ha decretato la fine dei valori, della garanzie e dei diritti del lavoro, per ufficializzare l’unico rimasto, quello alla fatica, per sancire che la dignità rientra nelle prerogative dinastiche o di appartenenza di pochi, mentre per gli altri, laureati, perfezionati, specializzati, l’unico talento e l’unica forma di occupazione possibile, praticabile, desiderabile, consiste nella servitù senza discussione, senza difesa, senza protezione.
Oggi comincia il domani, proclama il più sfrontato dei premier. Se non fosse ridicolo, il suo grido suonerebbe come una minaccia, la conferma che da qui il lavoro sarà questo, sarà ricatto, sarà arbitrarietà, sarà abiura, sarà umiliazione, sarà mortificazione. E le difese saranno di cartapesta come il palcoscenico di Milano, dove l’unica certezza che si intravvede dietro agli slogan e agli spot, è la fame.
Che poi verrebbe da dire – oltre a chiedere ai nostri ministri e rappresentanti, se negli anni non remoti della giovinezza, sarebbero accorsi a fare gli sguatteri, i guardiani, i bigliettai, a 500 euro e magari arrivando da fuori Milano, se i puntuti commentatori pronti a favorire la successione dinastica in media inaccessibili a soggetti extra corporativi, ci hanno mandato i loro delfini a cogliere questa occasione di crescita a buon mercato – si, verrebbe da dire che scegliere anche in tempo di crisi se accettare o no una mansione al di sotto delle proprie competenze, al di sotto delle proprie aspirazioni, al di sotto della remunerazione legittima, dovrebbe rientrare proprio nell’ambito delle leggi del mercato che tutto oggi sovrintende, in quelle della competitività e della concorrenza cui tutti dovremmo ubbidire, per non dire di quelle del merito cui tutti siamo chiamati a uniformarci.
E verrebbe da rispondere che una paga troppo bassa, che condizioni di lavoro insicure, che durata dei contratti a termine, che orari e turni pesanti o imprevedibili, che contributi previdenziali inesistenti sono incompatibili con quel domani dinamico e profittevole oggetto della quotidiana ostensione da parte di giovani nati vecchi, di promoter di lavori che non svolgerebbero mai, di propagandisti di una apertura al mondo che il mondo altro lo respingono in mare o gli muovono guerra.
Invece c’è da guardare con affetto e gratitudine ai ragazzi che dicendo no alla fortuna secondo Renzi, gli hanno risposto inequivocabilmente: ca nisciun’ è fesso. Sarebbe bene imitarli.