di Ilenia Maria Calafiore
L’idea, nata in ambito europeo nel 2002, era quella di trovare una fonte alternativa per l’approvvigionamento di gas naturale che potesse svincolare l’Unione Europea dalla Russia. Per questo fine, la EEPR (European Energy Programme for Recovery) aveva stanziato 200 milioni di euro per partecipare alla costruzione di un gasdotto, progetto definito fondamentale per l’approvvigionamento europeo. L’agenzia cercava un’altra via, comune, rispetto ad altri progetti avviati da singoli Stati membri, come il South Stream: un gasdotto sviluppato dall’intesa tra l’Eni e la russa Gazprom, che transiterà solo in territorio dell’Unione, la cui costruzione dovrebbe concludersi entro il 2015.
Ma perché tanto interesse nell’estromettere la Russia? Per capire i difficili rapporti tra il Paese che è il maggior fornitore di gas dell’Europa, ed un’Unione Europea in costante ricerca di energia, l’anno chiave è il 2006: nell’anno in cui l’Unione rinnovava il Country Strategy Paper con la Russia e firmava gli Accordi di Partenariato e Cooperazione che coinvolgevano Russia, Europa Orientale, Caucaso meridionale e Asia centrale, si scatenava la “Guerra del gas” tra Mosca e Kiev: Gazprom blocca le forniture all’Ucraina per un contenzioso sul prezzo del gas, il colosso energetico russo vuole alzare il prezzo da 50 dollari a 230 dollari per 1.000 metri cubi. Le ripercussioni si fanno sentire anche in Europa, dato che l’80% dell’approvvigionamento arriva proprio dall’Ucraina. Gazprom aveva accusato l’Ucraina di aver “prelevato illegalmente” il gas destinato all’Europa, accusa smentita da Kiev. Il contenzioso si era risolto con un accordo tra Gazprom e la società ucraina Naftogaz che avevano fissato il prezzo a 230 dollari, consentendo però all’Ucraina di pagarlo 95 dollari, mescolandolo con il gas dell’Asia Centrale che transita in Russia.
I problemi però si ripresentano e nel 2008 le forniture di gas all’Ucraina vengono tagliate del 50%.
Rete europea dei gasdotti
Fonti di energia dunque eccessivamente instabili ed inaffidabili. Così era nato il progetto del Nabucco, originariamente diviso in due parti: l’oleodotto, denominato “Nabucco West” che avrebbe collegato la Turchia all’Austria, passando per Bulgaria, Romania ed Ungheria, ed un’altra parte che avrebbe attraversato i Paesi dei giacimenti di gas: Azerbaijan, Kazakistan, e Turkmenistan. La fonte principale da cui il progetto avrebbe tratto alimentazione è lo Shah Deniz, un’enorme riserva di gas naturale in Azerbaijan, controllato dallo Shah Deniz Consortium che include la Compagnia petrolifera statale azera, il SOCAR, la BP, Statoil, Total, Lukoil, TPAO e la Compagnia Statale iraniana.
Nel corso degli anni il progetto ha subìto notevoli ridimensionamenti: nel 2012 c’era stata la decisione di concentrarsi solo nella costruzione del Nabucco West privilegiando dunque la parte europea del progetto; in seguito venne ridimensionata anche la portata prevista: da 30 a 10 miliardi di metri cubici (bmc).
Non di meno Nabucco aveva dei rivali. Il più importante era il TAP, acronimo per Trans Adriatic Pipeline: progetto che nasceva sempre dalla Turchia, ma che attraversava Grecia, Albania e Italia meridionale, tagliando le condutture di almeno 400 kilometri ed avendo la stessa portata di Nabucco.
Corridoio Sud dell’energia – Fonte: OilPrice
Il progetto TAP nasce da un’intesa tra la compagnia svizzera AXPO e quella norvegese Statoil nel 2003. Al progetto si è unita anche l’Italia nel 2009, dopo la firma di un accordo intergovernativo con l’Albania e con l’azienda tedesca E.ON.
Il progetto che lo Shah Consortium avrebbe giudicato migliore e sul quale si sarebbe risolto ad investire si sarebbe infine collegato al TANAP, ovvero il Trans Anatolian Gas Pipeline, che collega i giacimenti dello Shah Deniz alla Turchia. Il consorzio che si occupa della sua costruzione è formato quasi delle stesse compagnie che gestiscono i giacimenti dell’Azerbaijan (SOCAR 80%, BOTAŞ 15%, TPAO 5% e altri soci di minoranza come BP, Statoil e Total). I lavori sono già iniziati ed il termine è stato previsto per il 2018; la sua portata sarà inizialmente di 16 bmc, ma i progettisti pensano di poter ampliare la portata fino a 31 bmc nel 2026, il che fa pensare che in futuro non servirà un solo gasdotto.
La decisione dello Shah Consortium è arrivata il 28 Giugno 2013, e la scelta è ricaduta sul TAP. “Una decisione basata esclusivamente su un fattore finanziario” ha commentato Gunther Oettinger, Presidente della Commissione europea per l’Energia. “La decisione è stata presa in base a dei criteri di trasparenza, e i soldi parlano”. Oettinger fa anche notare che in realtà questa non è una vera e propria sconfitta per l’Unione Europea, perché questa era rimasta neutrale, non facendo pressioni per privilegiare il Nabucco invece che il TAP. Una vittoria della Russia contro l’Europa? “Non la metterei in questi termini” commenta Oettinger, “L’Europa vince comunque perché otterrà più gas da altre fonti”. Oettinger afferma anche che il progetto del Nabucco non è cancellato del tutto, dati gli enormi giacimenti azeri e la grande richiesta di gas europea. Che fa rimanere dunque la Russia un partner commerciale fondamentale.
Ma qual è la posizione dei Russi in merito alla questione? Mosca sembra non aver mai preso particolarmente sul serio la faccenda dell’indipendenza energetica europea. Aleksandr Knyazev, direttore della sezione regionale dell’Istituto della Comunità degli Stati Indipendenti, aveva così commentato il merito al nascente progetto del Nabucco “Bello, ma senza speranze”, mentre Vladimir Feiguin, direttore dell’Istituto dell’energia e delle finanze russo ha dichiarato “Questo progetto sarà solo un simbolo della riduzione della dipendenza dal combustibile russo. In un primo tempo l’Europa riceverà meno di 10 miliardi di m3 di gas azero all’anno e 10 miliardi di m3 non possono influire significativamente sulla ripartizione dei mercati energetici, ma secondo i rappresentanti dell’UE questa diversificazione permetterà di ridurre un po’ le tariffe. In caso di crescita e di aumento del numero di progetti che necessitano di gas, non si potrà certamente parlare di calo delle tariffe. Soprattutto se si tiene conto delle basse capacità del TAP”.
Causa dell’astio russo è stato anche il supporto americano al progetto, sostenuto fin dall’inizio proprio per allentare la morsa di Mosca sull’Europa, e la decisione di far transitare il gas attraverso Stati come la Turchia, vicini alle posizioni di Washington. Peraltro Putin, guardando comunque con sospetto le mosse europee per una possibile indipendenza energetica del vecchio continente, si era adoperato per costruire in fretta e furia sia il North Stream, che il South Stream, stipulando con i Paesi partner contratti trentennali che assicurano a Mosca un po’ di stabilità.
Nel frattempo, la Russia si è accaparrata un contratto con la Cina per la fornitura di gas per i prossimi 25 anni, per la quale Pechino pagherà un anticipo di 60 miliardi di dollari.
Chi ci rimetterà di più per questo sostanziale fallimento? I Russi sostengono che ad aver perso la partita sono gli Stati Uniti, ma è innegabile una battuta d’arresto anche per la Turchia, che vedeva nel progetto un’occasione per rafforzare il proprio ruolo geopolitico: benché molte delle condutture passino dalla Turchia, il Paese sembra non aver molta voce in capitolo e le decisioni vengono sempre prese dai poteri forti, in questo caso dalle compagnie del gas.
Una posizione simile sembra essere anche quella dell’Italia: oltre al TAP, anche l’ITGI passerà per l’Italia. L’Interconnector-Turkey-Greece-Italy seguirà proprio questo percorso, portando nel nostro Paese una quantità di gas pari a 10 bcm. Anche questa volta, il progetto è diviso in due sezioni: quella turca, commissionata alla BOTAŞ e quella europea. Il consorzio che si occupa della costruzione nella parte europea, cioè delle condutture chiamate “Poseidon”, è costituito dal 50% dall’Edison e al 50 % dalla Depa, società greca, che ha avuto non poche difficoltà a causa della recente crisi economica. L’Unione Europea ha deciso di sostenere il progetto con un finanziamento di 45 milioni di euro nell’ambito dell’European Recovery Plan. Nonostante l’Italia sembri in una posizione cruciale per il passaggio del gas, anche qui i poteri forti tendono a trattare direttamente con le società private, lasciando i governi ai margini delle decisioni.
L’Europa riparte dunque da se stessa: con l’avvio del semestre di presidenza lituana dell’UE, la Presidentessa Dalija Grybauskaite ha rilanciato l’idea di un mercato unico europeo dell’energia estromettendo, come ha fatto già all’interno, la Russia dal mercato energetico. Nell’ottica della Grybauskaite nessun Paese UE dovrà essere energicamente isolato, prospettando così un mercato unico che possa garantire la diversificazione delle forniture di gas per tutti i membri dell’Unione, soprattutto per quelli fortemente dipendenti da un unico fornitore, alludendo praticamente a tutta l’Europa Orientale. Non ci resta che vedere se questo progetto sarà accolto da tutti i membri dell’Unione con lo stesso favore, o se si presenterà la solita Europa a due velocità.
* Ilenia Maria Calafiore è Dottoressa in Comunicazione Internazionale (Università di Palermo)
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