Ecco come il regresso all’infinito da dispositivo logico astratto passi a innervare la prassi sociale non esangue ma concreta, massiccia e perfino contundente. Siamo di nuovo al punto di partenza, con la differenza che ci troviamo a un livello inedito rispetto a prima. Adesso è Grillo che si appella a Bersani e che, in più, gli suggerisce il nome per il Quirinale a conferma che la partita è sempre stata doppia, Palazzo Chigi e Colle. Ma quale nome? È qui che occorre la critica. Vi prego la Gabanelli no. È una delle figure più intelligenti del giornalismo italiano, lasciamola fare il suo mestiere, non diamole il pretesto affinché pure lei si snaturi e si occupi di cose che non le competono (come peraltro ha lei stessa dichiarato). L’alternativa, seria e percorribile, ormai fatta propria da parecchi sia in rete sia sui giornali, si chiama Stefano Rodotà. Per almeno due motivi.
1) Perché avrebbe dovuto già indicarlo il Pd, ma si sa, i democrat sono tardi. Stefano Rodotà viene dal Pci e dal Pds, è un garante della Costituzione, è giurista al passo coi tempi che mette a tema i Beni Comuni come argomento in rotta di collisione con l’ultraliberismo.
2) Perché con Stefano Rodotà capo dello stato ci sarebbero le condizioni per varare quel Governo Pd-Sel-M5S, nuovo e larvatamente post-rappresentativo, che già si sarebbe dovuto varare fin dall’inizio, in ossequio all’esito delle consultazioni di fine febbraio.
E, infine, perché Rodotà è un cosentino arbereshe di San Benedetto Ullano. Uno del Sud. E si badi, non è una questione di rivalsa geografica, semmai è un affare di estetica. Perché il Sud è una categoria estetica: il Sud è donna, l’animale più sensibile, provvisto di una squisita bellezza e avvedutezza pratica che in nessuno ha eguali. Così, se ci pensate, sareste contenti anche voi che vorreste un Quirinale in rosa…
P.S. Rodotà al Colle anche per evitare, ovviamente, orgie Pd-Pdl che all’anagrafe fanno Amato o D’Alema e schivare anche i colpi (a vuoto) Cassese e Prodi.