Cioè il criterio col quale il Pd ha scelto il candidato alla presidenza della Repubblica è quello della “condivisione“. Della larga convergenza con il Pdl e con Scelta Civica. Ma è un requisito ragionevole questo? Voglio dire: rispetto al Paese, qual è il senso di una simile scelleratezza, da che razza di taglio ha origine una decisione di questo tipo? Franco Marini capo dello stato è la conferma di un partito, quello democratico, privo di un centro di gravità, assoggettato psicologicamente al potere coatto di Silvio Berlusconi, che ne esce ancora una volta col sorriso a denti pieni. Il Pd, mai proponendosi come un soggetto in positivo, ma sempre per differenza negativa da altri, soprattutto dal Pdl, preferisce la strada della governabilità a quella del governo. Ma anche qui ho difficoltà a trovarci un senso. Governabilità insieme con Berlusconi e Monti per un Governo già morto prima di nascere, pur di schivare il coraggio di prendere posizione davanti agli stessi B&M dicendo: “Ragassi, è quest’acqua qua… io non ci sto”. Non prendere seriamente in considerazione l’ipotesi di Stefano Rodotà e, dunque, quella di un governo con i Cinque Stelle è sinonimo di antipolitica, nella misura in cui proprio ora occorre un approccio alternativo, differente dalla logica della rappresentanza tradizionale. Grillo può avere tutti i difetti di questo mondo, è uno sprovveduto ma, scusate, il Pd che poteva fare un po’ il “papà” della situazione si è pisciato addosso. Adesso anziché promuovere un presidente davvero largamente condiviso, perché lo reclama la comunità, la moltitudine senza leader, la sfera pubblica che mira a far dialogare Costituzione e Beni Comuni nell’epoca della crisi dell’ultraliberismo e dei colpi a vuoto dell’austherity, forse già da stamani, e per i prossimi sette anni, avremo un inquilino al Quirinale malvoluto dalla cittadinanza e condizionato da insulsi intrighi di palazzo.
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