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Calcio italiano: regime fiscale e competitività. Noi c’eravamo, ecco i principali spunti

Creato il 22 maggio 2013 da Tifoso Bilanciato @TifBilanciato

Il 21 maggio si è tenuta presso l’Università Commerciale “L. Bocconi” un’interessante conferenza dal titolo “Regime fiscale e competitività”, con ospiti Ernesto Paolillo, ex dirigente dell’Inter e attualmente professore alla LIUC di Milano, ed Ernesto Maria Simonelli, presidente del collegio dei revisori della LNP serie A e serie B.

Tra gli aspetti più rilevanti senza dubbio alcune considerazioni in merito alla sponsorizzazione del PSG: l’ECA, di cui il dott. Paolillo è membro (al pari del Dott. Gandini, da noi precedentemente intervistato nel mese di aprile, non si aspettava un contratto con la Qatar Foundation i cui effetti fossero retroattivi. Nel momento in cui si è verificata tale situazione, è emersa la necessità di esprimersi in merito alla congruità, ai fini del FFP, dell’accordo.

L’orientamento dell’UEFA in merito è di lavorare sul rapporto tra brand value e sponsorizzazione: non è possibile avere un contratto dal valore ingente se non è giustificato dal blasone del club, misurato, per l’appunto, attraverso il brand value.

Il Dott. Simonelli snocciola qualche numero al riguardo, mettendo a nudo un quadro impietoso dei club italiani, se raffrontati a quelli tedeschi: il brand value delle italiane è mediamente di 30 milioni di Euro, mentre il valore dei club tedeschi è notevolmente più alto, grazie ai notevoli sforzi della Federazione locale e ai Mondiali del 2006, che hanno permesso l’ammodernamento degli impianti sportivi. Da qui è nato il nuovo sistema calcistico tedesco, il quale ha sviluppato un sistema di ricavi articolato, basato, per l’appunto, sugli stadi nuovissimi (ma, come verrà meglio specificato più avanti, non solo): si tratta di impianti che vengono sfruttati sette giorni su sette, garantendo sempre la massima fruibilità ai tifosi e, al contempo, offrendo la massima visibilità agli sponsor.

Tornando nuovamente al FFP, il Dott. Paolillo spiega ai ragazzi della Bocconi come il raggiungimento dei requisiti da esso fissati portino ad un divario di competitività, in quanto la componente dei salari è la più rilevante sul totale dei costi e, pertanto, i club si stanno muovendo proprio nella direzione di tagliare il monte ingaggi (si vedano i casi di Milan e Inter, seppur con effetti diametralmente opposti sui risultati sportivi). Emerge quindi ciò che è stato intravisto nel corso della stagione 2012/13: i club italiani soffriranno notevolmente a livello internazionale, a causa del divario in termini di ricavi (basti pensare ai 200 milioni di divario tra Real e Barca con Juventus e Milan in termini di fatturato) e, quindi, ai differenti margini di spesa.

Ancora una volta viene, in definitiva, posto l’accento sulla necessità di incrementare i ricavi. Come più volte ricordato da TB, gli stadi rappresentano il primo passaggio, ma da soli non sono sufficienti per ridurre in maniera consistente il gap con i top club internazionali: serve una maggiore diversificazione degli stessi, in modo da ridurre la dipendenza dai proventi derivanti dalla ripartizione dei diritti televisivi (nazionali e internazionali). Come fatto correttamente notare dal Dott. Simonelli, è importante lavorare sulla leva fiscale, eliminando ad esempio la “penalizzazione di Stato”, cioè l’IRAP (tanto criticata dall’AD del Milan, Adriano Galliani), tassa presente unicamente in Italia tra i Paesi UEFA.

Ancora il Dott. Simonelli, tuttavia, ricorda che il tema è particolarmente sensibile, soprattutto in un momento in cui lo Stato ha difficoltà a reperire risorse: il gettito fiscale diretto garantito dal sistema calcio è di 1,5 miliardi di Euro, che arriva a 5 miliardi se si considera anche il gettito indiretto. La soluzione a questa impasse è rappresentata, ancora una volta, dall’incremento dei ricavi: questi ultimi vorrebbero dire maggiore gettito fiscale e, probabilmente, anche maggiore occupazione (ad oggi gli operatori del mondo calcio sono circa 100 mila). Ancora una volta il confronto con i club europei è impietoso: il ricavo medio delle migliori squadre italiane si attesta a 67 milioni di Euro, mentre quello dei top club europei è il triplo.

Il Dott. Paolillo si riallaccia nuovamente alla diversificazione dei ricavi, mettendo a nudo i numerosi problemi strutturali del nostro Paese, ponendo, in particolare, l’accento sulla contraffazione delle magliette, che impedisce ai club nostrani di incrementare i ricavi da merchandising: secondo uno studio commissionato in passato dall’Inter, il livello di perdita stimato a causa dei falsi è pari a 18 milioni di Euro. Nel resto dell’Europa ciò non accade, grazie a controlli più severi e alle magliette originali non ufficiali, che hanno un prezzo più contenuto, ma che hanno il duplice effetto di garantire ricavi costanti ed eliminare il c.d. tarocco.

Al termine dell’incontro il Dott. Paolillo si è soffermato con noi di TB per un piccolo accenno al ricorso ufficiale presentato dall’Avv. Dupont, rilevando come, a suo avviso, non vi siano i presupposti affinché la Commissione UE possa dare ragione all’ Avv. Dupont, in quanto l’UEFA si è sempre tenuta a stretto contatto con la Commissione stessa, rilevando come si tratti di una specificità che non va contro il principio di libera concorrenza (sul quale fa leva il ricorso). A onor di cronaca va rilevato come le stesse critichei erano state mosse a più riprese dal Milan, nella persona dell’Avv. Cantamessa, le cui considerazioni sono state riportate nella tesi “L’introduzione del Fair Play Finanziario in Italia: vincolo o opportunità?”.


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