Livia da Porto Thiene e sua figlia Porzia (particolare) - Paolo Veronese
Il post iniziale della nostra amica bimbayoko mi ha fatto ricordare un regalo di iniziazione ricevuto un Natale di millanta anni fa: le chiavi di casa.
Era un pacchetto normale, in apparenza; unico indizio: era piccolo ma pesante.
Svoltandolo trovai un scatola da oreficeria.
Fossi stata più grande, o nata in altra epoca, il mio cuore avrebbe dato un balzo. Invece, figlia di un tempo in cui si etichettava tutto come eccessivo e superfluo e in cui si negavano gli orpelli del perbenismo borghese (che reminiscenze di un vocabolario desueto, vero?) fui quasi delusa. Avrei sperato in un libro: ne ero famelica. Ma di un gioellino che me ne facevo?
Non portavo ciondoli, i bracciali erano roba da maliarde del cinema muto, non avevo i buchi agli orecchi, gli anelli erano preclusi alle fanciulle.
Dunque?
E invece dal pacchetto saltarono fuori le chiavi di casa. Che mio padre aveva fatto appena bagnare in un oro pallido.
Tanto per rendere più chiaro il simbolo e la preziosità del dono.
Una promozione alla vita adulta, dunque. Ad un CERTO livello di indipendenza.
Nonostante ritenessi che ne avevo ben diritto, quasi mi commossi.
Anzi: mi commossi proprio.
Per quel dorato più che per le chiavi. Per il simbolo, insomma.
Capivo che per i miei genitori era tanto. Ed era, in effetti, tanto anche per me.
Avevo....fatemi pensare....non ricordo esattamente. Credo 16 anni.
A quell'età in USA prendono la patente.
Ogni cultura ha i suoi simboli. Per me, che all'epoca mi potevo solo aspettare di diventare maggiorenne a 21, fu una promozione non da poco.