di Massimo Donadi. La riforma del finanziamento è roba che al confronto il Gattopardo era un dilettante. Cambiare tutto per non cambiare niente è il principio dominante nel romanzo di Tomasi di Lampedusa, ma i politici italiani hanno fatto di meglio. Stanno facendo passare la riforma del finanziamento per una rivoluzione copernicana che garantirà trasparenza e taglio dei costi, in realtà cambierà pochissimo. Una riforma che grida allo scandalo perché non c’è alcuna riduzione del finanziamento, perciò i partiti continueranno a ricevere più denaro di quanto ne possano spendere, con tutte le conseguenze etiche, politiche ed economiche del caso. Abbiamo proposto il dimezzamento del finanziamento, ma, naturalmente, i partiti della maggioranza hanno fatto orecchio da mercante. Abbiamo proposto la rinuncia all’ultima tranche di finanziamento, circa 100 milioni di euro, per destinarlo a fini sociali o alla riduzione del debito. Macché... D’altronde non è possibile aspettarsi molto di più da una maggioranza così innaturale, che non può prendere decisioni politiche nelle sedi parlamentari competenti perché non riuscirebbe a trovare alcun accordo. Per questo continuano e si moltiplicano incontri nelle segrete (più o meno) stanze. Si procede in base alla logica del compromesso al ribasso (finte riforme, fumo negli occhi dei cittadini) oppure di quella dello scambio (io do una cosa a te, tu dai una cosa a me). E questo è il metodo seguito anche per la legge elettorale. Almeno stando alle bozze che circolano oggi. Non c’è possibilità di rilancio e di vero cambiamento in questo modo. Ed è un errore strategico: oggi la politica è ad un bivio e non rendersi conto che la sfiducia nei partiti può provocare un collasso delle istituzioni ed un deficit di democrazia è da irresponsabili. Certi dirigenti di partito sembrano più attenti a coltivare il proprio orticello che non a riprendere un percorso riformatore al proprio interno che è anche il primo indispensabile passo per riformare il Paese. In questo modo non si esce dalla crisi italiana, che è anche politica e culturale. Serve una scossa e l’opinione pubblica è pronta a darla. La politica deve saper ascoltare, se vuole riacquisire credibilità.
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di Massimo Donadi. La riforma del finanziamento è roba che al confronto il Gattopardo era un dilettante. Cambiare tutto per non cambiare niente è il principio dominante nel romanzo di Tomasi di Lampedusa, ma i politici italiani hanno fatto di meglio. Stanno facendo passare la riforma del finanziamento per una rivoluzione copernicana che garantirà trasparenza e taglio dei costi, in realtà cambierà pochissimo. Una riforma che grida allo scandalo perché non c’è alcuna riduzione del finanziamento, perciò i partiti continueranno a ricevere più denaro di quanto ne possano spendere, con tutte le conseguenze etiche, politiche ed economiche del caso. Abbiamo proposto il dimezzamento del finanziamento, ma, naturalmente, i partiti della maggioranza hanno fatto orecchio da mercante. Abbiamo proposto la rinuncia all’ultima tranche di finanziamento, circa 100 milioni di euro, per destinarlo a fini sociali o alla riduzione del debito. Macché... D’altronde non è possibile aspettarsi molto di più da una maggioranza così innaturale, che non può prendere decisioni politiche nelle sedi parlamentari competenti perché non riuscirebbe a trovare alcun accordo. Per questo continuano e si moltiplicano incontri nelle segrete (più o meno) stanze. Si procede in base alla logica del compromesso al ribasso (finte riforme, fumo negli occhi dei cittadini) oppure di quella dello scambio (io do una cosa a te, tu dai una cosa a me). E questo è il metodo seguito anche per la legge elettorale. Almeno stando alle bozze che circolano oggi. Non c’è possibilità di rilancio e di vero cambiamento in questo modo. Ed è un errore strategico: oggi la politica è ad un bivio e non rendersi conto che la sfiducia nei partiti può provocare un collasso delle istituzioni ed un deficit di democrazia è da irresponsabili. Certi dirigenti di partito sembrano più attenti a coltivare il proprio orticello che non a riprendere un percorso riformatore al proprio interno che è anche il primo indispensabile passo per riformare il Paese. In questo modo non si esce dalla crisi italiana, che è anche politica e culturale. Serve una scossa e l’opinione pubblica è pronta a darla. La politica deve saper ascoltare, se vuole riacquisire credibilità.
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