Sui monti fra Bologna e Firenze, lungo i sentieri dei contrabbandieri, sfiorando i luoghi amati da Tiziano Terzani ed Enzo Biagi
Credevo di conoscere le mie montagne. Ma anche i luoghi più conosciuti, se prendi una svolta diversa da quella consueta, possono riservare sorprese. Infatti cammino da trent’anni fra queste cime eppure in questo bosco, lungo questo sentiero non sono mai venuto. Anche se dista solo pochi chilometri dalla casa delle mie vacanze in montagna, l’alta valle del Silla, nell’alto appennino bolognese, per me è sempre stata lontanissima, come un mondo a parte. Confina con la Toscana, mentre la mia casa è nella valle vicina, quella più ampia e popolata del Dardagna, dove la provincia di Bologna si incunea in quella di Modena. Sono posti che spesso sono sconosciuti agli stessi bolognesi, specie quelli d’adozione, figurarsi al resto d’Italia. Ma sono luoghi molto belli e insospettabili così vicino alla città. Sono quasi più apprezzati all’estero: c’è un’agenzia inglese che ormai da più di dieci anni porta a camminare qui per quattro o sette giorni gente da tutta Europa (pochi gli italiani). Questo viaggio a piedi lo chiama secret appennines, e il nome è perfetto. Ripenso a escursioni del passato e questa valle mi sembrava davvero sconosciuta e il panorama pieno di segreti mentre scorrevo il suo profilo, scuro e selvaggio dai quasi duemila metri del Corno alle scale. Questa valle stretta e boscosa rappresentava l’ignoto. Sembravano quasi più vicini e rassicurante il mare Tirreno o la chiazza verde dell’Elba che dalla cima si scorgevano nei giorni più limpidi. Davvero, non so perché nella valle del Silla ci ero stato così raramente, e mai lungo questo sentiero.
Sul monte Gennaio
Dislivello: 1100 metri, lunghezza 11 chilometri circa (5-6 ore). Partenza: rifugio Segavecchia (vicino Pianaccio, Lizzano in Belvedere – BO). Fauna: lupi, marmotte, mufloni, vari tipi di rapaci
Sa sinistra, il poggio delle Ignude, il monte Gennaio e il passo del Cancellino (foto di Patrick Colgan, 2014)
Fra le nuvole e il bosco (foto di Patrick Colgan, 2014)
Avevamo voglia di camminare. A me in particolare mancava da tempo un trekking abbastanza lungo. Così per la nostra passeggiata in due abbiamo scelto un percorso di cinque-sei ore e completamente sconosciuto, verso una delle poche vette sulle quali non ero mai salito finora, il monte Gennaio. Pensando alla storia e alla geografia, questo è il sentiero dei viaggiatori e soprattutto dei contrabbandieri che si spostavano fra Emilia e Toscana. C’era una dogana sul passo, che però spesso veniva aggirata passando per cime più impervie. Ma questi luoghi a me evocano anche i nomi, le pagine e le storie di due grandi giornalisti e scrittori, visto che si sfiorano le case di Enzo Biagi e Tiziano Terzani. Il primo nativo di questa valle, il secondo un figlio adottivo-della vallata vicina – sul versante toscano – di cui amava le storie e la gente.
Oltrepassiamo Pianaccio e la casa di Enzo Biagi, che qui riposa in un piccolo cimitero a valle del paese. Passiamo accanto al suo volto dipinto sul muro del centro di documentazione che reca il suo nome e partiamo tardi dal rifugio Segavecchia (932 metri), intorno a mezzogiorno, diretti verso la Bocca del Lupo. Facciamo il pieno di acqua alla fonte e cominciamo la salita, dolce ma ininterrotta, lungo una carrabile che costeggia rocce imponenti e poi si snoda fra faggeti e pinete, boschi pieni, traboccanti di fiori e funghi.
“Ho girato il mondo da cronista, ma in fondo non sono mai andato via da Pianaccio (Enzo Biagi)” (foto di PAtrick Colgan, 2014)
Non c’è nemmeno un porcino, del resto lungo i sentieri non si trovano mai, ma io continuo a scrutare fra gli alberi, chissà che oggi non abbia un colpo di fortuna. Ma insisto a muovere lo sguardo lontano dal percorso anche perché tutto per me è un mistero da sciogliere. Se nell’altra valle ogni pietra, ogni albero mi evoca ricordi, estati passate e persone, qui è come leggere le pagine di un nuovo libro. Poi il percorso si inserisce su un crinale boscoso e fra le nuvole basse comincia l’ascesa verso la vetta del monte, fino a quando dopo un paio d’ore non si tocca il passo di Porta Franca (1530 metri). Il nome spiega già tutto, questa era la via dei contrabbandieri fra Toscana ed Emilia: passando di qua, non si pagavano dazi alla dogana che c’era sulla trafficatissima via ‘ufficiale’. Ma il nome allo stesso tempo spiega anche poco di questa storia che comincia a delinearsi e a popolarsi di figure nella mia mente. Chi erano i contrabbandieri? Cosa portavano? Quali rischi correvano? Com’era la loro vita? Queste domande senza risposta mi riecheggiano in testa mentre guardo la mappa, popolata da altri nomi che ne raccontano altri capitoli, come il Poggio dei malandrini. Ma i nomi su queste montagne sono spesso evocativi, ognuno è una storia, un potenziale romanzo. Scorro la cartina e vedo il balzo della Saetta, i balzi dell’Inferno, il passo della Donna morta, la Bocca del Lupo. Forse la storia più affascinante è però quella del Poggio delle ignude che in questo momento abbiamo davanti a noi, strettamente legata a quella del monte Orsigna. Nella valle ai suoi piedi, verso Pistoia, trascorse gli ultimi mesi della sua vita Tiziano Terzani. Era fiorentino, ma i suoi sogni erano popolati da questi luoghi, anche quando era dall’altra parte del mondo: “Il pensiero di quel posto m’è servito da bussola nei miei vagabondaggi nel mondo”, scrive ripensando al paese a un paio d’ore di sentiero da qui. La storia del poggio, che sembra una fiaba da adulti, un po’ licenziosa, la lascio alle sue parole.
Gli orsignani vivevano in un mondo tutto loro, con regole loro, e della città rifiutavano tutto. Persino la spiegazione del nome del loro posto. Orsigna, stando agli storici, veniva dal fatto che la valle, menzionata già in documenti dell’anno Mille, era piena di orsi (da qui i due che sono nello stemma di Pistoia), ma secondo gli orsignani il nome avrebbe a che fare con una principessa Orsinia (degli Orsini?) esiliata qui ad espiare un «fallo d’amore». Le sue guardie erano protette da grandi armature e solo quando si spogliavano per prendere il sole su uno dei colli si vedeva che erano delle magnifiche ragazze. Quel posto si chiama ancora Le Ignude. «Lì ci si sente», mi dicevano gli orsignani, indicandomi i ruderi di un posto che sia chiama Il Castello (quello della principessa?), ma che tutt’al più poteva essere stato un gruppo di misere casupole di pietra. Io stavo in silenzio a cercare di sentire i lamenti antichi della Orsinia, ma non ci riuscivo.
(Tiziano Terzani, 1997 da AltoRenoToscano)
In realtà forse il nome deriva soltanto dal fatto che è la prima di alcune montagne ‘nude’, con la cima spoglia, come il vicino monte La Nuda. Ma io preferisco immaginare le amazzoni di Orsinia che si rilassano fra i monti. Qui a Porta Franca c’è anche un rifugio, poco distante dal sentiero principale, anche se non so quanto. Non siamo sicuri che sia gestito – lo è, scoprirò poi – e intanto si sta facendo tardi. Ci sono anche nuvoloni che incombono, così rinunciamo al miraggio di una birra e un tagliere di salumi e continuiamo, fiancheggiando la vetta spoglia del monte (1812 metri), evitando di salire l’esile, ripido sentiero che sale in cima.
Il bosco è pieno di fiori e funghi (foto di Patrick Colgan, 2014)
Si aggira la vetta del monte gennaio, lo sguardo spazia fino alla pianura emiliana.
Nelle giornate terse si vedono le Alpi (foto di Patrick Colgan, 2014)
Dalle parti di Porta Franca (foto di Patrick Colgan, 2014)
Qui c’è anche una splendida fonte d’alta quota, detta l’Uccelliera, una delle sorgenti del torrente Silla. Quindi si attraversa il passo del Cancellino, sul confine toscano, segnato da pietre antiche. Sono i ‘cippi confinari‘ fatti mettere nel 1779 dal Granduca di Toscana Pietro Leopoldo. Qui, infatti lo sguardo spazia verso la Toscana da una parte e l’Emilia dall’altra, è un confine naturale. Ed è proprio da qui comincia la ripida discesa che attraversa panorami ancora diversi: sorgenti, piccoli rii fino alla zona semi paludosa della fonte Capannaccia. Le gambe sono pesanti, le spalle dolenti, ma una fetta di torta ai mirtilli e un bicchiere di passito al rifugio Segavecchia ci fanno presto dimenticare le fatiche. Il sentiero si può fare anche in senso inverso (come raccontato qui) ma questo significa affrontare subito una salita lunga e molto ripida e secondo me non ha molto senso, a meno di non essere davvero allenati.
Sul monte di Orsigna
Dislivello: 1.0o0 metri circa, lunghezza 10 chilometri circa (5-6 ore). Partenza: Monteacuto delle Alpi, 915 metri (vicino Pianaccio, Lizzano in Belvedere – BO). Fauna: lupi, marmotte, vari tipi di rapaci
Un giovane albero (foto di Patrick Colgan, 2014)
Verso il passo della Donna morta
Mi sveglio con male alle gambe, male alla schiena. Tutto mi dice che forse oggi dovrei calmarmi e riposarmi. Un conto è correre al parco o faticare in palestra, un altro è la montagna. Ma ormai è come se avessi cominciato un libro che mi appassiona. E non mi riesco a staccare, continuo a immaginare quei boschi sconosciuti a due passi da me. Ormai vivono nella mia mente come i personaggi di un libro e li percorro avanti e indietro. Immagino un tracciato da vero contrabbandiere, fantastico di arrivare fino al paese di Orsigna, in Toscana e cercare le rovine del ‘castello’ di cui parlava Terzani. Non so neanche se il sentiero esiste ancora, non c’è sulla mia cartina, limitata al versante Emiliano. Oggi sono solo e devo rispondere soltanto al mio corpo e voglio partire. La mattina però le nuvole sono basse e ho un momento d’incertezza. Non mi convinco ad avviarmi lungo sentieri sconosciuti in queste condizioni e per conto mio. Alla fine, dopo molta indecisione, arrivo all’imbocco del sentiero che è di nuovo mezzogiorno e le nubi si stanno alzando. Salgo da Monteacuto delle Alpi, un meraviglioso borgo medievale aggrappato a una roccia in mezzo alla valle, forse il posto più bello di tutta questa parte dell’appennino. Mentre Pianaccio è sempre nascosto fra i fianchi delle montagne, dall’alto lo sbuffo di case bianche di Monteacuto si vede sempre, è una specie di bussola. Parto diretto verso il monte Orsigna, seguendo le indicazioni per la Caffa e la Donna morta. La salita è ripida e sfiancante fra vecchie case in pietra ed essiccatoi in disfacimento, ormai tutt’uno col bosco. Si sale inesorabilmente, incrocio alcuni fungaioli con i cesti pieni che a quest’ora ormai scendono, ma per il resto sono completamente. Dopo quasi due ore mi concedo un riposo su un punto panoramico splendido. Sono di fronte al Corno alle scale, il monte più alto della provincia di Bologna. L’ho visto e scalato mille volte, ma da qui stento a riconoscerlo. E poi ha la cima incorniciata da nubi, sembra il monte Olimpo. Forse, penso, è il punto panoramico più bello di questa valle e sento di aver scoperto qualcosa di prezioso. Poi salgo ancora, tocco il passo della Donna Morta che è piuttosto deludente, c’è solo una radura qui. Ma la storia mette i brividi. Secondo la leggenda una donna sorpresa da una bufera fu ritrovata senza vita stretta al suo bambino soltanto quando si sciolsero le nevi.
Ruderi ormai tutt’uno col bosco, la Caffa (foto di Patrick Colgan, 2014)
Il passo della Donna morta, calanchi e radure (foto di Patrick Colgan, 2014)
Continuo a salire, oltrepasso delle fonti e un’altra radura, quella del Rombicciaio (1,385 metri), poi la guida diventa enigmatica: ‘dopo dieci minuti è facile discostarsi dal sentiero per salire alla vetta del monte Orsigna’ che ormai, vista l’ora, è diventata la meta ultima della mia passeggiata. In Toscana andrò un altro giorno. Il monte Orsigna dovrebbe essere alla mia sinistra, ma non vedo la vetta, secondo il gps sono a 80 metri di dislivello dalla cima che è a circa 1.555 metri. Così dopo aver cercato a lungo una pallida traccia di sentiero, che non c’è, provo a salire. Lascio il sentiero Cai e mi arrampico in mezzo al bosco, fra gli alberi tutti uguali. Ottanta metri sono come due palazzi di otto piani abbondanti e salgo a una pendenza forte e sfiancante. Ho il gps per ritrovare la strada, ma non mi fido, getto occhiate continue alle mie spalle, cerco punti di riferimenti che non trovo. Penso di tornare indietro, più volte, ma la voglia di arrivare fino alla vetta è troppa. E anche l’orgoglio. Non mi vede nessuno, potrei ingannarmi, ma lo devo a me stesso.
Il Corno alle Scale oggi sembra il monte Olimpo (foto di Patrick Colgan, 2014)
Il bosco che porta verso il Rombicciaio, 1385 metri (Foto di Patrick Colgan, 2014)
In cima al monte Orsigna, un po’ provato
La pietra sulla cima del monte Orsigna (foto di Patrick Colgan, 2014)
Arrivo in cima e non c’è nulla, nessun panorama, solo una distesa di alberelli contorti e un’antica pietra che segna il confine con la Toscana, ormai ricoperta di muschio, che mi conferma che sono al traguardo. Ma oltre il bordo regionale ci sono anche cartelli col divieto di caccia che tolgono ogni poesia. Come uno stupido lancio un urlo di gioia. Mi scatto una foto.
Poi comincio a scendere, seguendo il gps in questo labirinto di alberi fino a quando la striscia tracciata sul display non si interseca con quella del sentiero che avevo lasciato. Il problema è che quando alzo lo sguardo il sentiero non c’è e non è in vista. Perdersi nel bosco, in una valle sconosciuta e col sole che comincia a calare risveglia paure ancestrali e faccio fatica a controllare il panico, a evitare che esploda. So che il sistema satellitare non è infallibile, che può sbagliare di qualche metro, così provo a orientarmi con la luce, con la vegetazione. Mi maledico per essermi affidato alla tecnologia, avrei dovuto trovare altri sitemi. Cammino per dieci minuti col battito del cuore che accelera, ma ricordo i cartelli del divieto di caccia e sono sicuro di non avere scavallato sul versante toscano. Faccio appello a capacità di orientamento un po’ sopite e alla fine ritrovo il sentiero più a valle, in un punto molto distante da dove ero salito. Riguardo il display del gps che nel frattempo ha ‘aggiustato’ il tracciato. Sembra che quell’errore non sia mai avvenuto. Mentre scendo verso Monteacuto mi viene quasi il dubbio di essermi immaginato tutto.
In fondo alla strada riappaiono le case di Monteacuto (foto di Patrick Colgan, 2014)
Informazioni e link utili
Il comprensorio del Corno alle Scale e il suo parco Regionale sono in provincia di Bologna. Da Bologna si sale seguendo la Statale Porrettana da Casalecchio (uscita autostrada Sasso Marconi, A1). Da Firenze si passa per Pistoia andando verso Porretta Terme. Nella valle del Silla si entra seguendo le indicazioni per Pianaccio e Monteacuto appena prima dell’abitato di Lizzano in Belvedere.
Il fiume Silla e la sua valle (da Wikipedia)